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Avia, 9 Febbraio 2018. Tre anni fa, all’improvviso, senza precursori e senza che nulla lo lasciasse immaginare, Marc Coma appendeva il casco al chiodo. Fin lì ci si poteva arrivare. Un futuro come team manager, KTM, si era portati a pensare, o magari da un’”altra parte”. Invece, il 2 Luglio del 2015, Coma decideva di accettare la proposta indecente di Etienne Lavigne. In un istantaneo divenire il Campione di 5 Dakar, il “Ribelle” di Uyuni (Marc affrontò a muso duro il suo “predecessore” che stava per mandare la Dakar nel Salar allagato), passava dall’altra parte della barricata e diventava il funzionario più rappresentativo, sul terreno, dell’Organizzazione della Dakar.
La Dakar 2016, la prima sotto la direzione del fuoriclasse di Aviá, portava così solo metà della firma della Leggenda vivente catalana, e l’edizione 2017 è stata la più sfortunata della storia sudamericana, e di conseguenza la più brutta, ma non per colpa dell’ex Campione motociclistico.
L’edizione 2018 invece, terza dell’esperienza Coma, è stata la più bella degli ultimi dieci anni, la più intensa, di nuovo una Dakar vera, completa. Per questo è stata anche la “promozione” a pieni voti di Marc Coma Direttore. Alla Dakar di oggi continua a mancare solo una maggiore dimestichezza con i Piani B, ma sotto i profili tecnico e agonistico è il Rally all’altezza della sua Storia. Quindi, a pensarci bene, nel 2015 Marc Coma ha lasciato da vincitore (è stata l’ultima delle sue vittorie in Moto), e nel 2018 lascia ancora da vincitore (di una Dakar OK).
Nel 2015 Marc ha accettato un’offerta sicuramente affascinante, interessante sotto il profilo economico e intrisa di contenuti, di affascinante e accelerata evoluzione di carriera, di sfida.
Per questo si è portati a pensare che oggi Marc Coma possa aver pianificato un ulteriore salto di una carriera straordinaria, pensiero che contrasta un poco con il proposito dichiarato di “dedicarsi a nuovi progetti personali”, anche non prendendo in considerazione che il più titolato “Dakariano” spagnolo possa, a 41 anni e nonostante una vita particolarmente intensa e emozionante, volersi dedicare all’orto di casa o a una vita più sedentaria. Comunque, Marc Coma da una parte, ASO dall’altra, salutano, ringraziano e si augurano scambievolmente il meglio e il di più per il futuro. È la formula standard, anche nei casi peggiori, quando l’amore finisce in maniera burrascosa.
Tre anni fa ritenevo che il destino di Marc Coma fosse quello di diventare Team Manager della Squadra KTM, e mi sono sbagliato. Due anni fa, la stagione scorsa e anche quest’anno il mio pensiero era che potesse diventare il Manager del Team Honda, e pare che mi sia sbagliato di nuovo. Pensavo anche che quest’anno Marc avesse imparato a far bene il suo nuovo lavoro e che quindi fosse finalmente contento del nuovo “impiego”. E mi sono sbagliato. Ho sbagliato anche a non pensare a un cambio di traiettoria, poiché è nella tecnica del Fenomeno catalano prendere delle decisioni improvvise e sorprendenti.
Un disastro, ma, seppure con il senno di poi, mi sento di poter dire una cosa. Anzi più di una. La prima è che c’è troppa differenza tra i due lati della barricata. Pilota e Organizzatore sono troppo distanti, al punto che un Pilota che passa dall’altra parte scopre un mondo totalmente diverso e neanche immaginato. Ancora. Non mi ha convinto all’inizio il “matrimonio” con Lavigne & Co, e non sono riuscito a farci l’abitudine neanche in seguito. Ho sempre visto troppa differenza tra il carattere del Catalano e quello del Francese. L’altra cosa è che non ho mai visto un Marc Coma a suo agio nella nuova veste e nel nuovo ambiente (ricordate, Pilota e Organizzatore sono due entità perfettamente distinte, molto diverse, che stanno su due punti diametralmente opposti). Era comprensibile il primo anno, era tutto nuovo, la Dakar era cambiata radicalmente dopo l’estate per il forfait del Perù, e il poco tempo a disposizione per “ambientarsi” si era ulteriormente ridotto. Era comprensibile anche nel secondo anno di attività del Direttore Sportivo, una Dakar imbarazzante con quasi metà delle Tappe annullate o ridimensionate, non un metro di dune e una pioggia di critiche in sovrapposizione alle piogge torrenziali del gennaio 2017. Non è comprensibile quest’anno, se si considera il valore dell’esperienza e se si è d’accordo sul risultato di una Dakar riuscita, bella e interessantissima. Non si capisce bene, infine, perché una figura carismatica come quella Hubert Auriol, così come, all’opposto, una personalità sobria e discreta come quella di David Castera, abbiano potuto resistere dieci anni sulla breccia con la stessa funzione, mentre Marc non è andato oltre i tre anni canonici di un contratto preliminare in scadenza.
Il che mi porta direttamente alla conclusione che la relazione tra il Datore di Lavoro e l’Impiegato non fosse così idilliaca, ma questa è l’ultima cosa che potrebbe stupirmi.
Inutile domandarsi ora quale sia il futuro di Marc Coma. Se avrà un ufficio in Europa, Sud America o, magari, Cina, o si ritirerà a curare le motine del figlio nel granaio di Avià sono ipotesi che hanno in questo momento lo stesso valore, nullo. Come da copione, una risposta immediata non c’è. Sicuro, non c’è da pensare che non ci sia un futuro già scritto e controfirmato, ma è sicuro che di informazioni pubbliche Marc non se ne lascia scappare. Più probabile che arrivi la risposta a una delle domande di contorno, e cioè: chi sarà il successore di Coma alla guida della Dakar? Un suo ex delfino, tipo Viladoms, Xavier Gavory meritatamente promosso? Nico Cereghini? Completo scenario di supposizioni gratuite. Quindi inutile.
Sicuramente Marc Coma non mancherà di sorprenderci ancora, anche se dovesse riconsiderare tracce abbandonate troppo frettolosamente. Comunque non è un problema, perché quando si tratta di una persona che si considera un amico, la priorità viscerale è: In Bocca Al Lupo!