Magia Dakar. Edizione 2001, La Kleinschmidt e Meoni

Magia Dakar. Edizione 2001, La Kleinschmidt e Meoni
38 edizioni. Quando si dice “la corsa più famosa del mondo” non si pensa abbastanza alla portata della definizione. Ma ce ne sono altre, non meno forti. La Dakar è un’epopea, un grande romanzo dello sport. È una lunga storia…
3 gennaio 2015

Ognuno di noi ha la “sua” Dakar. Perché l’ha vissuta in modo sensazionale oppure, se proprio non ha avuto la fortuna di esserci, perché vi è legato attraverso le storie che quella edizione ha generato. Per me ce ne sono due, la prima, simbolica, alla quale ho “partecipato” per caso. Vista soltanto partire, per l’esattezza, dalla piazza della Concorde di Parigi, nel 1985, ma già fu “mitico”, indimenticabile. Capodanno a Parigi, un giornale raccattato da terra la notte tra il 31 e il primo gennaio, un po’ brilli, la notizia di una pazza corsa che parte dal centro della Capitale. Andiamo a vedere…

L’edizione del 2001 è quella perfetta. La compagnia giusta, il lavoro perfetto, una carica formidabile. È la Dakar magica per il modo in cui è vissuta, per il risultato, per le novità e per quella speciale atmosfera, creatasi forse proprio a causa della “perfezione” dei singoli eventi e del modo in cui si sono incastrati tra loro.

Si parte da una novità e da un ritorno alle origini, come Marc Coma vuole che succeda anche quest’anno. Allora era la partenza di nuovo da Parigi e l’abolizione delle assistenze aeree. Stupiti? Sì, negli anni cosiddetti d’oro della Dakar l’aereo era un mezzo molto diffuso, quasi come lo è un furgone oggi. Naturalmente era anche molto caro, ma c’è stata un’epoca alla Dakar in cui il denaro non era un problema. Non per tuti, naturalmente, ma scorreva a fiumi e si facevano addirittura i paragoni con il Calcio o la Formula 1.

La Dakar ha superato da un pezzo i suoi momenti peggiori, e si è assestata su un livello forse un po’ meno leggendario, ma certamente molto concreto. È al passo con i tempi, insomma. È l’anno in cui i pronostici vanno a rotoli, e la corsa diventa incandescente, una battaglia. Tra le auto è lotta, davvero senza quartiere e senza esclusione di colpi, tra Hiroshi Masuoka e Jean-Louis Schlesser, che ha già vinto due volte con il suo Buggy. Un giorno, è la 19° tappa, Schlesser decide di giocare sporco, alla Dakar il limite tra pulito e no, è piuttosto labile e mobile, e parte prima dell’avversario nonostante l’ordine di partenza inverso. Poi trascina il compagno Servia in un gioco di squadra teso a tenere dietro l’avversario, a tutti i costi. Il giapponese esce dalla pista tra gli alberi in un disperato tentativo di riprender in mano la corsa, ma è ben presto fermato da un incidente. Alla fine della tappa Schlesser viene penalizzato, Masuoka è comunque troppo indietro, e per la prima volta nella storia della Dakar, una donna si aggiudica la classifica assoluta delle auto. È Jutta Kleinschmidt, che porta la Mitsubishi ad una nuova, davvero non prevista vittoria.

Ma la magia dell’edizione 2001 è Fabrizio Meoni. Il privato per definizione, l’atleta e uomo che si è fatto da solo guidato da una passione enorme, ha coronato il sogno, e pilota una KTM ufficiale. Con lui il vincitore delle due edizioni precedenti, Sainct. Roma, invece, il grande deluso del 2000, è passato alla BMW, che quell’anno schiera una nuova bicilindrica alquanto pretenziosa che attira anche Cyril Despres. La chiave del Rally è nella regolarità assoluta della corsa di Fabrizio Meoni. Sempre a contatto con la testa della corsa, Fabrizio può approfittare delle sventure dei leader del momento nelle tappe attorno a El Gallahouia, un’emozionante eclissi di sole nel deserto per i soli “Dakariani”. Joan Roma cade al mattino e Sainct si ritira poco più avanti sulla pista di Atar, e Meoni, 43 anni, passa al comando per restarvi fino alla conclusiva, ventesima tappa. L’emozione più grande è seguire in diretta gli ultimi chilometri del vincitore dall’elicottero, fino a quando l’eroe toscano taglia il traguardo di Dakar e incontra, sul podio del Lago Rosa, la sua famiglia.

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