Un evento che dura sei giorni richiede molto tempo per sedimentare ed essere digerito. La Sei Giorni di Sardegna ha suscitato entusiasmi e critiche, come tutte le manifestazioni, che meritano una riflessione | P.Batini
La Sei Giorni è finita e lascia un importante strascico di sensazioni, che si trasformano col tempo in riflessioni e giudizi. È inevitabile. La Francia ha vinto, com’era quasi scontato al di là dell’entusiasmo che sospingeva la Nazionale Italiana sollecitandola ad un risultato clamoroso. L’Italia del Trofeo Mondiale è salita sul podio, e quella del Trofeo Junior ha conquistato la piazza d’onore. Il bilancio sportivo può essere soggettivamente soddisfacente, o emotivamente insufficiente, ma è un fatto che l’esito agonistico deve essere considerato eccellente.
Gli italiani non avrebbero comunque potuto far niente contro la Francia, e meno ancora se questa avesse potuto schierare anche Christophe Nambotin, ma si sono disimpegnati egregiamente contro gli americani e gli australiani, offrendo una bella dimostrazione di compattezza e forza di gruppo.
Quando è mancato Salvini, Balletti, soprattutto, e Monni hanno tenuto insieme la Squadra, e il bilancio della fortuna, che ha colpito duramente Alex Salvini e ben due Piloti australiani, Phillips e Kearney, incide pesantemente sulla classifica finale e sui distacchi.
Ma fortuna e sfortuna, in una gara così lunga e complessa, da tutti i punti di vista, sono elementi che fanno davvero parte del gioco, non è un modo di dire o di accettare fatalisticamente gli eventi. Alla fine, però, non si può non considerare che le “carte” hanno sempre ragione.
La festa della Sei Giorni: un successo chiaro ed evidente
La componente festa della Sei Giorni. È forse il parametro che, oggi, influenza maggiormente un largo spettro di considerazioni, per non parlare dell’evento sotto l’aspetto della struttura e delle dinamiche organizzative. Festa della gara, e festa dell’evento. Nella competizione la Festa è la vastità della partecipazione. In tutti i sensi, quantitativo e soprattutto qualitativo. Nell’evento la festa è tutto quanto sta a bordo percorso/gara e nella città, nel paddock. L’atmosfera, insomma. La festa della competizione è stata un successone, chiaro ed evidente. Basta pensare alla tiratissima lotta di vertice, al numero degli iscritti, uno tsunami oceanico che, un anno fa, era difficile prevedere, e agli affollatissimi, perfetti “Service” di KTM e Jolly Racing, una prerogativa della Sei Giorni che la dice lunga sulle modalità di partecipazione e sull’affezione del Popolo degli Enduristi di tutto il Mondo. La Sei Giorni in Sardegna ha spostato in avanti il record di partecipazione, incrementandolo, rispetto alle ultime edizioni dell’evento, a spanne, di un buon venti per cento. Straordinario. L’enorme contributo di appassionati e di amatori, e di Piloti non più affamati di risultati, insomma, è stato stratosferico, ed ha offerto alla Sei Giorni italiana un’altra faccia di incredibile sostanza. Una marea di Moto Club, le categorie C1, C2, C3 superaffollate e protagoniste di gare davvero avvincenti.
La parte del leone, in questo “settore”, l’hanno fatta gli italiani, che hanno vinto quasi tutto. Per un Edoardo d’Ambrosio secondo in C2, ma poteva andare ancora meglio, c’è un Moto Club, il Treviglio di Mirko Gritti, Dawid Ciucci e Guido Conforti, vittorioso a mani basse, e contro avversari di non secondario valore, e c’è soprattutto Maurizio Micheluz, autore di una gara ad effetto “cross-over” sulla Sei Giorni.
Micheluz ha vinto tutto quello che c’era da vincere, dimostrando che le sue ambizioni potevano trovare uguale riuscita anche più in alto. Escluso dalla formazione “A” a pochi giorni dal via, Maurizio ha vinto tutte le giornate di gara meno la penultima che è andata a Battig, e ha staccato vistosamente il secondo e il terzo, l’americano Blythe e l’italiano Zecchin, ottenendo un tempo totale che lo porrebbe al 28° posto assoluto.
Meglio, la considerazione è inevitabile, di Albergoni. Certo, il confronto è difficile e delicato, perché bisogna considerare le variabili oggettive, posizione di partenza, pressione, ruolo, e del… senno di poi, che possono contraddire le scelte iniziali del tecnici federali ma non per forza certificare che furono sbagliate.
Il percorso: scelta dettata dalla grande partecipazione
La festa di partecipazione ha condizionato la scelta e il disegno del percorso e delle prove speciali. Due larghi anelli di tracciato, oltre i duecento chilometri. Belli, il secondo più del primo, e più “enduristico”. Ma per consentire un maggiore controllo della competizione, e garantire il necessario livello di sicurezza, le prove speciali erano tutte molto simili. Niente linee pure o Extreme, e grandi fettucciatoni, lunghissimi, ben fatti e selettivi, panoramici e spettacolari. Ma, con il passaggio di mille moto, anche scassati e polverosi all’inverosimile, destino prevedibile se non piove. Prove come la Pittulongu e, soprattutto, la Marinella, devastate dalla polvere, difficili da correre e da guardare, linee “indoor”, se vogliamo, affollate il giusto di spettatori e avvolte nella nebbia rossa, facili da guardare ma difficili da seguire, anche per il limitato raggio d’azione di altoparlanti e dell’unico tabellone crono, a volte addirittura nascosto.
Cross finale a Tempio Pausania. Spettacolo agonistico e di scenografia, superbamente interpretato dai concorrenti, molti dei quali, e i migliori, ormai, sono passati all’Enduro dopo aver militato tra i cancelletti di tutto il Mondo per anni. Belle le gare, e avvincente lo spettacolo, anche se il “catino” del Bruschi, contrariamente a quanto riferito dalle cifre ufficiali, non è andato propriamente tutto esaurito ai botteghini.
Festa a bordo pista
La Sardegna, dicono, è il posto più bello del Mondo per fare fuoristrada. La Sei Giorni l’ha dimostrato, con l’offerta, in parte attesa, di una coda d’estate nell’autunno incombente. Bel tempo, sole, poche piogge, provvidenziali per il percorso e prevalentemente nelle ore notturne, panorami e scorci mozzafiato. Non c’è un Pilota che non sia rimasto a bocca aperta, salendo sui sentieri della Gallura, nel momento in cui si è affacciato sul mare della Sardegna. Solo per questo la trasferta impegnativa è valsa la pena, anche dall’altro capo del Mondo.
Festa d’ambiente
Meno efficace. Partendo da Olbia si poteva raggiungere ogni angolo delle prove speciali agevolmente, ma per quelli che provenivano da fuori qualche cartello indicatore avrebbe facilitato l’accesso, e seguire le frecce di gara poteva obbligare ad eterni looping. Il paddock non è stato un esempio di animazione. Anzi, molti l’hanno considerato un mortorio. “Privatoni” e motoclub ammassati in fondo, quasi uno sull’altro come se fossero marginali, e larghi spazi vuoti al centro, occupato, ma non riempito, dagli stand, dai “servizi” e dai “monumenti” istituzionali, la tribunetta dei V.I.P con il palco e il Parco Chiuso.
Neanche un’illuminazione decente, la sera. Non ci fossero stati i gruppi di supporter francesi, colorati, rumorosi e brilli da sabato a sabato, e non fossero intervenuti gli Sheepskull Enduro Riders dell’Isola di Man, con le loro coreografiche moto e tenute post atomiche e la loro allegra invadenza, la desolazione avrebbe potuto essere imbarazzante. Lo stesso paddock del WRC di luglio, per dare un esempio, era stato anni luce più animato e interessante. La città di Olbia ha accolto l’evento e riempito gli hotel, ma non l’ha abbracciato. Il Molo Brin, che è l’anima della città e che nel progetto “originale” doveva essere il centro della Sei Giorni, è rimasto deserto, non ha accolto il palco/podio di partenza e di arrivo, e neanche, per decisione in corso d’opera, la cerimonia finale di premiazione, che è andata in scena nel buio del molo d’imbarco in quel settore solitamente occupato da container e cassonetti. Intanto, il parallelo viale a Sud, illuminato e affacciato sul golfo, era vuoto, e in centro andava in onda una maratona cittadina.
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