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Olbia, 5 ottobre 2013. Finalmente Tempo Pausania, una manche di cross per classi, 40 alla volta dietro al cancelletto. Molti degli enduristi che vincono oggi vengono dalla pista, ed è naturale che sappiano infiammare il pubblico interpretando in modo perfetto il Gran Finale della Sei Giorni. Giochi fatti, i sei giri finali possono solo portare male se succede qualcosa di sgradito, per esempio uno di quegli imprevisti che già hanno condizionato abbastanza lo sviluppo della settimana attorno a Olbia. Se non succede nulla di strano l’ISDE 2013 Sardegna va in porto, chiude i battenti e rimanda alla 89ma edizione che si disputerà l’anno prossimo in Argentina. Non è successo niente di strano, e la grande festa dell’Enduro è finita con la festa al crossodromo Sergio Bruschi, rimesso a nuovo e vestito a festa per il cerimoniale e per la diretta televisiva. Un bello spettacolo, perfetto nel palinsesto e irreprensibile nelle dinamiche. Volendo, ci stava anche una super finale, quella che invece si deve evincere dal confronto dei risultati di classe e che comunque non modifica l’ordine dei forti. E finalmente arriva il giorno che Alex Salvini è il più forte in assoluto, e in quell’11:08:68, di gran lunga migliore del resto del Mondo rappresentato, sul podio, dal fenomenale Junior francese Loic Larrieu e dagli americani Charles Mullins e Zach Osborne. Quest’ultimo ha vinto la E1, Salvini la E2. La meno invasiva delle classi al crossodromo risulta la E3, dominata con un tempo superiore da Mike Brown ed eccitata dalla caduta di Antoine Meo che, in piena rimonta, non è riuscito a far sua l’ultima assoluta di una Sei Giorni che ha dominato in lungo e in largo. Ma nello spettacolo di chiusura, di per sé scarsamente influente, ed è giusto così, sono racchiuse anche le rivincite e le frustrazioni, le gioie e le paure di sei giorni di gara. Ex colleghi della pista che si rincontrano sul terreno che li ha cresciuti, ex specialisti che vogliono dimostrare per un giorno un valore messo in ombra per un’intera settimana, e pseudo “rancori” non contro avversari ma contro il fato maturati in eventi così cinici da considerarsi insopportabili. È così che Alex Salvini parte, arriva, vince e sale sul podio, esternando la straordinaria voglia di rivincita e di affermazione che l’ha lanciato con forza quasi distruttiva, e non deve stupire se alla fine dei giochi e di tutto, scarica completamente la tensione e si lascia andare a un commento che potrebbe sapere quasi di presuntuoso.
«Sono partito con la voglia e il proposito di vincere e la convinzione di poterci riuscire. Ho vissuto in pochi giorni tutto quello che si può patire in una carriera. L’incidente, la ferita, l’intervento chirurgico, il dolore e il timore di non poter andare avanti. Ho sofferto la ripresa stringendo i denti e subendo gli avversari che volevo e potevo battere. Mi sono rimesso in corsa, ho ripreso le redini della situazione felice di poter tornare ad offrire un contributo completo alla causa della Squadra. E finalmente è arrivata la prova di Cross, finalmente una vittoria voluta e netta, e la dimostrazione che ero uno di quelli che doveva stare là, davanti!».
In una Sei Giorni non difficilissima, 100 ritirati soltanto dei 613 partiti, la Francia di Planet e Thain, ma soprattutto di Renet, Aubert e Joly, e sopra a tutti di un irresistibile Antoine Meo, vince il Trofeo della 88ma edizione della Sei Giorni Internazionale di Enduro, doppiando il risultato di una anno fa ottenuto in Sassonia quasi con la stessa Squadra, quest’anno priva di Guillaume, ritirato dall’attività, e Nambotin, infortunato. Lunga vita a questa Francia, che è davvero una spina nel fianco e che, come promesso, lo sarà per chissà quanto tempo ancora. Gli americani Brown, Caselli, DuVall, Mullins, Osborne e Taylor conquistano il secondo posto. Agli USA il merito di aver resistito agli australiani sinché erano “in vita” e di aver contenuto in poco meno di quattro minuti il ritardo dai francesi, e il torto di aver battuto gli italiani.
L’Italia sale sul Podio, conquistato da Alex Salvini, Simone Albergoni, Oscar Balletti, Thomas Oldrati, Manuel Monni e Deny Philippaerts. Di una Nazionale di calcio si dice, al termine della finale, che ha vinto o che ha perso. Si può dire altrettanto degli Azzurri dell’Enduro? Hanno vinto? Hanno perso? No. La risposta è che hanno ottenuto un bel risultato, sofferto e combattuto. strameritato. Hanno perso la sfida dei secondi contro gli americani, e poteva succedere lo stesso con gli australiani, non avrebbero potuto obiettivamente mai potuto vincere con i francesi, non ostante l’inevitabile contrasto tra ambizioni e realtà generato dal fatto di correre in casa, e hanno vinto contro la sfortuna e contro lo stress di una somma di situazioni emotivamente critiche, dimostrandosi squadra prima di tutto. Non hanno mai ceduto allo sconforto e hanno resistito al fuoco di sbarramento delle avversità. L’Italia ha subito il trauma di perdere le speranze troppo presto, e di vedere drasticamente ridimensionato il potenziale dell’insieme per la doppia defaillance della loro Punta di Diamante, ma è giusto in quella condizione che la Nazionale ha costruito il modello di una compagine capace di reagire anche in mancanza del leader. In questo senso non è troppo giusto prenderli uno per uno. Lo si può fare nel Mondiale, che è un torneo basicamente individuale, ma non alla Sei Giorni, a meno di non voler avvilire e indebolire lo spirito e la struttura fondamentale dell’Olimpiade dell’Enduro.
Dice Mario Rinaldi che alla Nazionale è mancata la maturità che deriva dall’aver trovato il proprio leader troppo a ridosso dell’evento. Supposto che abbia ragione, e penso di sì, quello di Mario è il miglior augurio e la più confortante, sintetica e rassicurante analisi sul futuro della Squadra italiana. La forza della Squadra matura c’è, il leader pure. Vorrei dire che è quasi più del podio conquistato in Sardegna, e vorrei anche dire Forza Italia, non avessi paura di essere frainteso dal gioco di parole.
Trofeo e Trofeo Junior, ex Vaso d’Argento, di bene in meglio. Giacomo Redondi, Rudy Moroni, Nicolò Mori, Gianluca Martini hanno conquistato la piazza d’onore, onorevolmente, e inevitabilmente superati dai francesi, e autoritariamente migliori degli inglesi, che nel finale non hanno retto alla pressione degli italiani.
È venuta a mancare l’arma risolutiva, in grado di rivoluzionare e pore fine alla guerra, e quell’arma l’hanno trovata i francesi che, non paghi della garanzia offerta da Mathias Bellino hanno calato l’asso che avevano nella manica, Loic Larrieu. E ciò non ostante, dopo sei giorni di gara, il ritardo degli azzurrini è limitato a cinque minuti, e la gara è rimasta interessante ed aperta fino alla fine.
Le ragazze. Brave! Bravissima la nazionale femminile che per la prima volta era schierata a una Sei Giorni dall’Italia, bravissima Paola Pelizzeni che ha affrontato l’impresa non già con spirito naif ma con la ferma determinazione di portare le ragazze a una svolta. Francesca Marrocco, Paola Riverditi e Anna Sappino non erano sicure, soltanto qualche mese fa, di riuscire a portare a termine l’endurance per antonomasia dell’Enduro, e questo era l’unico obiettivo della spedizione. Una volta centrato in pieno l’obiettivo, e ci sono episodi di determinazione e di risorse trovate o scoperte lungo la strada dei quali bisogna congratularsi, diamo un’occhiata al risultato. Non si potevano battere le australiane Gardiner, Jones e Wilson. Felicitiamoci per il quinto posto, che è già un passo più avanti dell’obiettivo.
88ma in archivio, 89ma in Argentina tra un anno. Bella gara? Bella festa dell’Enduro, del Fuoristrada e del motorismo? Presto per dirlo con esaustiva convinzione. Se non ai posteri il giudizio, che non spetta a noi ma al popolo degli Enduristi, sicuramente necessita di considerazioni più a freddo e di risultanti che verranno solo dal post evento. Per il momento una cosa è certa. La Sardegna ha vinto!
Foto di Niki Martinez