La KTM LC8 950 Rally di Fabrizio e Gioele Meoni

Provare, riprovare la KTM LC8 950 Rally di Fabrizio Meoni è una storia. Grazie Gioele, il figlio che ha voluto portare fuori dal garage della memoria la moto con cui il padre si allenava per vincere la sua seconda Dakar
10 maggio 2019

"Ho visto nascere la KTM LC8 950 Rally. L'ho vista la prima volta nel lontano 2000, avevo 9 anni ed ero a Mattighofen, quando ancora era solamente un motore sul banco e una forma, plasmata sotto i dettami di mio babbo e delle sue misure. Mastodontica ma adatta al mio stile di guida, mi sembra di conoscerla dalla prima volta che ci sono salito qualche mese fa, forse a causa di un po’ di DNA. Mio babbo per me, tra i tanti valori trasmessi, rappresenta la Dakar, quella vera in Africa, e me lo figuro un tutt'uno sopra la sua amata e odiata 950".
Gioele Meoni.

Non è facile incontrare la moto di Meoni e far finta di niente. Cerco di avvicinarmi così, con nonchalance per minimizzare l’impatto emotivo. Non funziona. Niente da fare, sono immediatamente travolto. È una storia lunga, forte, costantemente presente. Chi lo ha conosciuto, chi ha conosciuto Fabrizio Meoni sa di chi e di cosa si sta parlando. Cerchiamo di saltare fuori dal vortice emotivo. Parliamo di Moto. Della sua Moto.

Gioele, il figlio allora bambino e oggi uomo che l’ha vista nascere e crescere, che l’ha seguita nel risultato “domata” dal Padre, l’ha messa in mostra, portata al pubblico. Di più: fatta provare! Gioele Meoni e Paolo Caprioni, l’antesignana e l’evoluzione di oggi, così vicina all’”Originale” nel concetto e nell’ispirazione. Nell’intento. Un confronto? No! Per Gioele è solo il pretesto per un incontro e per tirare fuori dal garage dei ricordi la 950 Rally. Per Paolo è il modo di celebrare degnamente attraverso la sua Moto l’epopea leggendaria di un Nome, di una Moto e della loro Storia. La scena: il Circuito di Pomposa, più precisamente il suo “Sabbione”.

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Facciamo un passo indietro

Aprile 2002. Riceviamo un invito da Mattighofen. Allora era per Motocross. Si tratta di andare in Tunisia a provare la 950 LC8. Quella “vera”, la Moto da Corsa che ha vinto la Dakar 2002 con Fabrizio Meoni e da poco il Rally di Tunisia con Joan “Nani” Roma. Brividi. Non avremmo mai detto di no, ma quello che ci aspetta ci mette un po’ di timore. “Provare” la 950 LC8 ufficiale. Provare si fa per dire, e mai con tanta pertinenza come in questo caso. Più volte avrei detto, successivamente, che quella Moto la potevano guidare in pochissimi, e in particolare il solo Fabrizio Meoni con reale, assoluta padronanza. Diciamo imprinting. Non soltanto perché quella Moto l’aveva sviluppata, messa a punto e portata in gara, e alla vittoria, lui. Un esempio. Nani Roma, un colosso di corporatura e di bravura, aveva appena vinto in Tunisia, ma sarebbe tornato al volo alla monocilindrica per vincere anche lui con una KTM la Dakar del 2004. Subito dopo la vittoria di Meoni alla Dakar, tutti volevano la LC8, Nani e Gio’ Sala sono stati i soli che sono riusciti a portarla “degnamente” in Gara, il Gio’ a “conviverci”. Nani ne aveva “paura”, e prima di tornare alla monocilindrica “tirò scemi” i tecnici con mille richieste di modifiche, in particolare al telaio e alle geometrie di sterzo, per riuscire a guidarla.

Facciamola breve. Noi ci eravamo andati a spasso dandoci aria da tester, e nonostante la pochezza dei nostri mezzi avevamo ricavato sensazioni concrete e impressioni autentiche. Quelle che vengono da una Moto speciale, piano o forte che tu riesca ad andarci. Sul numero di Giugno del 2002 di Motocross era venuta fuori una grande prova su… strada che era il punto d’incontro tra le sensazioni di contatto e lo spessore della Storia di quella Motocicletta. Bellissimo!

Ricominciamo. Dejà vu. Gioele ci invita all’originale incontro-test-confronto. Abbiamo già accettato e liberato l’agenda ancor prima che finisca la telefonata, e subito dopo siamo già calati nello spessore emotivo dell’occasione. Chiediamo che ci siano anche Gio’ Sala, e il “Ferro”, al secolo Bruno Ferrari. Gio’ era previsto, a chiamare il Ferro ci aveva già pensato Gio’.
Giovanni è uno dei Piloti, uno di quei pochissimi di cui si diceva sopra, capaci di guidare davvero quella Moto, Ferro è il Genio che ha scritto con le sue mani quella Storia di acciaio vivo. Ma bisogna ricordarsi di Wolfgang Felbar, l’ingegnere di KTM che aveva definito i parametri del progetto e dato il via alla costruzione del telaio, e interpellare la “mente” centrale, il progettista del Motore, Claus Holweg, che aveva avuto l’incarico di creare la gemma da incastonare nell’idea di Stefan Pierer: una nuova Moto anche per KTM, per il futuro di KTM!

Tutto era partito da lì. KTM voleva un motore bicilindrico per spingere una nuova serie di Moto. Dopo il regno del Fuoristrada, KTM voleva anche la Strada

Tutto era partito da lì. KTM voleva un motore bicilindrico per spingere una nuova serie di Moto. Dopo il regno del Fuoristrada, KTM voleva anche la Strada. Wolfgang Felbar, capo del reparto di sviluppo, aveva stabilito che l’ideale doveva essere un “V” abbastanza stretto. Chiamò Holweg, che aveva una grande esperienza diretta, e gli affidò l’incarico. Claus partorì il capolavoro, un bicilindrico a “V” di 75°, carburatori da 43 e lubrificazione separata, compattissimo, potente, una coppia inesauribile.
Rispetto a quello che si era visto fino ad allora, l’LC8, questo il nome scelto per il nuovo propulsore, era significativamente più compatto e leggero, 56 chili, un quarto meno rispetto al “concorrente” più vicino, e portava a battesimo soluzioni che erano state pensate per un utilizzo del propulsore sia su una Moto da Fuoristrada, la prima nata, sia sulle stradali già in road map KTM. Fu un capolavoro di razionalità, e un record di reattività ineguagliato.

Claus Holweg

«Mi ricordo molto bene di Fabrizio. Bene, dopo l’insuccesso della Dakar 1999, un sacco di problemi tecnici alla Moto, ho raggiunto il KTM Rally Team. Era il Febbraio 1999 e, durante un meeting interno a Mattighofen, ebbi il permesso da Stefan Pierer, CEO di KTM, di definire un nuovo Test Team basato su Piloti potenzialmente in grado di vincere la famosa Dakar.
Era il tempo in cui alcuni amici italiani mi proposero Fabrizio Meoni, perché era un potenziale vincente e, inoltre, conosceva molto bene il posto giusto in Tunisia per effettuare test di durata e affidabilità. È in quel luogo che ci incontrammo per la prima volta, il Chott El Djerid, vicino a Tozeur e Douz, ed effettuammo il primo test della Moto da Rally.

Più precisamente Fabrizio ci aveva proposto una zona del lago salato in cui la sabbia è molto soffice, i motori dovevano girare al massimo della coppia e della potenza e potevamo “consumarli” di più e nel più breve tempo possibile. Girammo con diversi Piloti per tutto il giorno: dopo quattro giorni interi avevamo “consumato” tutto il materiale. In quel modo avemmo il quadro esatto di quanto lavoro avevamo davanti a noi.
Fabrizio mi spiegò molto bene di cosa aveva bisogno e io tornai al lavoro con il mio Team. Il compito a casa era quello di sviluppare nuove, durevoli e affidabili parti per dare ai motori le caratteristiche e la longevità di cui avevano bisogno.

In quell’anno effettuammo molti altri test in Tunisia e anche in Egitto. Il ricordo di Fabrizio di quel periodo è quello di una persona molto paziente e sistematica. Ogni volta cercavamo di analizzare insieme a fondo e fino in fondo ogni sorta di problema tecnico. In quel modo imparai a conoscere molto bene la sua personalità.
Spingemmo molto forte per cercare le soluzioni giuste, e alla fine dell’anno ottenemmo l’eccellente risultato di vincere il Rally d’Egitto con la LC4. Quello fu il punto di partenza delle vittorie di KTM e Fabrizio nei Rally-Raid.

Ci incontrammo 100 chilometri fuori da Dakar, all’arrivo dell’ultima Tappa della Dakar 2001. Fabrizio aveva vinto! Andai a congratularmi per la sua stupenda Corsa. Fabrizio mi abbracciò e mi disse che quella era la nostra vittoria, il premio al lungo e durissimo viaggio a cui ci eravamo sottoposti per lo sviluppo di quella Moto. Non ho mai conosciuto un’altra persona con quella personalità e quella tale determinazione. Grazie Fabrizio!

La prima vittoria alla Dakar di Fabrizio e di KTM ebbe un effetto turbo boost per la Fabbrica e per tutto il Team. E così iniziammo a lavorare sullo sviluppo della LC8 da Rally.
Era chiaro che Fabrizio aveva le caratteristiche fisiche e mentali per quel tipo di Bicilindrica, chiaro che lui e Gio’ Sala erano i Piloti giusti per sviluppare La Moto in Italia, Tunisia e Egitto».

Ricordo un test al Chott El Djerid. Fabrizio ed io ci fermammo al termine di una durissima giornata di lavoro, ci sedemmo e discutemmo insieme del potenziale della LC8. Lui era sicuro al 100% di vincere con quella moto anche la Dakar successiva

«Ricordo un test al Chott El Djerid. Fabrizio ed io ci fermammo al termine di una durissima giornata di lavoro, ci sedemmo e discutemmo insieme del potenziale della LC8. Lui era sicuro al 100% di vincere con quella moto anche la Dakar successiva. Per me aveva la visione chiara e precisa del Pilota che dopo aver effettuato tutto lo sviluppo e i test aveva capito perfettamente quali erano il potenziale e i limiti di quella nuova Moto.

Lo fece. Nel 2002 Fabrizio vinse anche la Dakar successiva con la nuova KTM LC8 Rally. Fu un grande successo per tutto il Team KTM, perfetto anche per la pubblicità della nuova KTM LC8 che sarebbe stata commercializzata di lì a poco.
Nell’autunno 2002 smisi di lavorare per KTM per fondare la mia nuova compagnia di sviluppo, la HC Concepts a Salisburgo. Ricordo che Heinz Kinigadner mi chiamò al telefono per chiedermi se volevo unirmi al Team e a Fabrizio anche per i successivi Rally, ma io rifiutai perché ero già concentrato e completamente assorbito dal mio nuovo business.

Ricordo bene anche quel 11 gennaio 2005 mattina. Stavo lavorando nel mio studio di design e, parallelamente, seguivo le informazioni della Dakar sul mio computer. Improvvisamente la notizia shock dell’incidente di Fabrizio in Gara. Smisi di lavorare e andai fuori per tutto il giorno. Il mio Eroe era morto alla famosa Dakar.

Almeno ho potuto raggiungere i suoi cari alla cerimonia del suo funerale e dare un saluto al mio Pilota Fabrizio.
Dopo quell’esperienza ho chiuso il mio libro dei Rally. È stato grande aver avuto la fortuna di incontrare tutti i più Grandi Piloti di quel periodo.
Grazie mille al mio amico Fabrizio, Grazie!».

Gio Sala. Test and Thinking

«Partire dall’idea di una comparativa è sbagliato. E non è neanche il luogo giusto. Nessun problema, l’obiettivo dell’iniziativa di Gioele Meoni e di Paolo Caprioni era sostanzialmente un altro. Veniamo a noi. Le due moto sono state fatte per obiettivi diversi. La KTM 990 di Caprioni non deve far fronte alle esigenze di autonomia della 950 di Meoni, e quindi è sviluppata nel senso della maggiore leggerezza possibile. Difficile anche testare due Moto fatte per le distese sconfinate del deserto in un qualsiasi luogo italiano. Entrambe le Moto, la soprattutto quella di Meoni, sono inevitabilmente sacrificate. Le Dakar di oggi sono molto più guidate di quelle di un tempo, le tappe sono più corte e spesso molto tecniche. Dovete immaginare Motociclette che appartenevano a un’epoca di bolidi del deserto, capaci di sfrecciare a duecento all’ora per centinaia di chilometri. Ecco, la KTM 950 LC8 di Fabrizio è stata l’ultimo di quei bolidi, il più performante.

Per guidare Moto come quella ci volevano Piloti speciali, figure dalle doti fuori dal comune, e grandi Deserti. Tuttavia è bello farsi un’idea del potenziale anche nello “stretto” di Pomposa e metterlo in rapporto con il ricordo della Moto in Gara. Il bello della “comparativa” è stata l’occasione per riunire un bel gruppo di appassionati di questa Moto e della sua Storia. Considera che lo sviluppo della 950 LC8 Rally è stato fatto tutto da Fabrizio e da me, quello “pratico” e dei test sulle famose piste del Chott El Djerid di Douz. Era un progetto assolutamente nuovo e i test erano altrettanto necessari, così facemmo una valanga di chilometri. Era partito tutto da zero, una sfida e una bella soddisfazione, soprattutto per il fatto di lavorare con Fabrizio, che conoscevamo bene. Era un vero piacere vederlo guidare, pensare, suggerire le modifiche alla creatura che stava crescendo. È stato bello!».

«Il test mi ha fatto rivivere quella Storia e quella situazione, specialmente quando la Moto di Fabrizio è andata in moto. Io ne ho una, quella della Dakar che finì a Sharm El Sheik, la tengo coma una reliquia e non la metto mai in moto. Sentire accendersi quella di Fabrizio ha istantaneamente rimesso… in modo i ricordi. Salirci sopra e guidarla è stata una vera emozione, vuoi per la cavalleria, vuoi pure per la difficoltà che si incontra a guidarla, anche su un percorso come quello di Pomposa. È stato bello rivivere i tanti momenti di quel progetto.

La prima cosa che mi è venuta chiaramente in mente è quanto sia impegnativa nella guida, e che bravura ci vuole per portare una moto del genere a tutta velocità nel deserto, e soprattutto vincere. Per guidare la LC8 nel deserto ci volevano doti non comuni, ed è chiaro che quella Moto, fatta sulle indicazioni di Fabrizio, portava in dote quella straordinaria efficienza e competitività derivante dal fatto che era stata fatta a misura della bravura di un Pilota eccezionale».

Ora vi spiego meglio. Non sono salito sulla Moto di Fabrizio. Sapevo già prima di partire per Pomposa che non l’avrei fatto. Questioni emotive. E poi il Tester Unico di una LC8 Rally era, è e sempre sarà l’altro Pilota che ne ha capito l’anima: Giovanni “Gio’” Sala. Pochi altri, un nome solido, Arnaldo Nicoli. Per me quella Moto è un monumento all’Uomo. È una Storia vivente. Quando è nata quella Moto il carattere della sfida era totale. Una sfida che ritenevo difficilissima, praticamente impossibile. Fabrizio aveva vinto la Dakar del 2001 con la monocilindrica. Aveva rotto il ghiaccio, era la sua prima vittoria, ed era anche la prima vittoria di KTM, fino ad allora quasi un miraggio congelato in una sorta di anatema. Per come la vedevo io, affidare a un Pilota lo sviluppo di una Moto totalmente diversa, con un futuro commerciale già scritto e… stradale, un prototipo con il quale aprire una nuova strada e allo stesso tempo correre l’anno successivo e difendere il Titolo non era un premio, era una “punizione”!

La realtà era diversa, stupefacente. Fabrizio mi parlava di come cresceva la Moto, totalmente rapito dalla missione. Non aveva nessun dubbio, neanche minimo, sul fatto che l’LC8 sarebbe stata pronta, e competitiva, per l’appuntamento cruciale. Parlava di quella Moto sicuro che sarebbe riuscito nell’impresa, e tuttavia l’impagabile modestia dell’uomo lo spingeva a mettere in risalto i meriti altrui prima dei propri. In particolare i racconti di Fabrizio erano l’antologia del già leggendario Ferro, l’”Uomo con le mani intelligenti” che stava plasmando la nuova Moto e che interpretava, alla perfezione e con i suoi strumenti di Meccanico d’altri tempi, lo spartito scritto dagli ingegneri e che veniva elaborato strada facendo dal Pilota.

Bruno Ferrari, il "Ferro"

«Questa Moto, la 950 Rally di Gioele, è una Moto Speciale. Non è quella con cui Meoni ha vinto la Dakar 2002. Pochi sanno dov’è. Comunque si tratta di uno step evolutivo molto importante. Questa LC8 ha una geometria, soprattutto di avantreno, che è stata basilare per la definizione della Moto vincente. Più ancora delle Moto ufficiali impiegate nelle stagioni della leggenda, questa è un pezzo speciale pregiatissimo, assolutamente unico. La potremmo definire un pezzo di storia attuale, perché di fatto è lo step di una Moto più maneggevole».

Ferro ha una sensibilità che rasenta l’esoterico. Un giorno con il Ferro è un giorno nel paradiso della Meccanica, un giorno di affascinante, istruttiva, moralizzatrice incredulità.

Il “Test” Prosegue. Gioele Meoni, Gio’ Sala, Paolo Caprioni si alternano alla guida sul piccolo circuito. Questo è il secondo motivo per cui non sarei salito su quella Moto. Loro sono troppo bravi, l’hanno vissuta e la sanno raccontare meglio di chiunque. Di Gio’ non serve che vi dica niente. Basta averlo visto andare in Moto una volta per sapere tutto di lui e assorbire un’esperienza spettacolare. Caprioni è il Pilota che ha corso e si è affermato con la “Moderna”, la 990 con la quale ha partecipato all’Africa Eco Race. A lui più di tutti viene l’istinto di un confronto. Presto detto. La sua Moto è molto più maneggevole. La Moto di Meoni è… impossibile sintetizzarla. È un cumulo di emozioni. Ve lo dico io cos’è. La Moto di Meoni è Musica!

Veder girare Gioele è ancora emozione. Anche Sala prolunga il suo test, ma i passaggi sono alternativamente di studio, di ricordo, di passione a guidare una Moto che è stata di un Amico e la sua. C’è intermittenza. Quando sale in sella Gioele Meoni è un’altra cosa. Il ragazzo va forte, per inciso. Come per incanto assume una postura che è molto simile a quella del padre. Molto in piedi, un po’ proteso in avanti, la testa bassa, «Perché questa Moto va guidata con rispetto e a testa bassa!» Un’altra cosa viene in mente. L’inesauribilità dell’energia, l’instancabilità che Gioele mette nella prova. Il padre era così. Inesauribile, carico fino all’orlo di un’energia speciale, neanche troppo fisica ma inossidabili, inscalfibili tenacia e determinazione. Instancabile. Eterno.
Un giro di pista, dall’alba al tramonto in sella per provare, da Arras a Dakar, dal 28 Dicembre al 13 Gennaio 2002, 16 tappe e 10.000 chilometri, 1.540 nella sola, incredibile Ouarzazate-Tan Tan-Zouerat, per vincere la sua seconda Dakar! Meoni non lo si poteva fermare. E così il figlio… d’un tratto la LC8 950 Rally comincia a scoppiettare. Tutti concordi: ha finito la benzina.

Non tutti d’accordo. Un colpo meno del motore e il Ferro ha già alzato lo sguardo distogliendosi da pensieri e ricordi che si possono immaginare. Sembra annusare l’aria, invece ascolta. Con rapidi gesti sollecita Gioele a dare un po’ di gas. Si fa dare un paio di pinze e si incammina verso la Moto. Guarda Gioele che gli sta dicendo qualcosa, senza distogliere lo sguardo la sua mano va dietro il piccolo cupolino, si infila tra i cavi, ne esce con un pezzo. «È questo interruttore. Non è la benzina. Vai!». Gioele riparte, Ferro rimane lì con l’interruttore in mano. «Ne avevamo sempre due già montati, caso mai uno si guastasse». Riprende.

«La Moto non si rompeva. Non si poteva rompere. Alcuni componenti sì perché magari arrivavano deboli, inadatti alla missione. Lo sapevamo. Raddoppiavamo. Ma la Moto no. Non si poteva fermare. Poteva succedere solo se rimaneva senza benzina o con troppo poco olio. Una volta, mentre la sviluppavamo, ho chiesto ai Piloti se avevano voglia di farsi una lunga tirata a manetta. Sono andati da Bergamo a Napoli, e sono tornati. Niente. Un’altra volta abbiamo provato stressare un Motore. Mai le punterie, mai un cambio d’olio, nessuna regolazione. A 72.000 chilometri ci siamo rotti le scatole. Può bastare, la Dakar è più corta! C’era riserva di tutto, di potenza, di coppia. La Moto era limitata a cento, cento-due cavalli, ma secondo Holweg poteva arrivare a 150 e ne ero convinto. Duecento chili, sessanta litri di benzina, da 3.800 a 9.800 giri, seimila giri sempre con oltre 90Nm di coppia».

Ferro ricorda che la Moto era nata ed era diventata adulta, pronta a vincere il suo primo Rally in meno di un anno. Ad Agosto fermammo lo sviluppo, a Ottobre 2001 Meoni vinse il Faraoni in Egitto. Un pezzo alla volta, un millimetro dopo l’altro, era stata sviluppata sistematicamente fino ad assumere la sua forma definitiva. Un passo dopo l’altro, un time-lapse emozionante. Batteria e serbatoio dell’olio da davanti sotto il motore e dietro sotto la sella, un piccolo radiatore aggiuntivo, poi uno intero più grande, qualche millimetro indietro e più su il centro del perno del forcellone, e così le pedane, più avanti, no troppo, un po’ più larghe, un grado al cannotto di sterzo, no, torniamo indietro, va bene così, un disco solo davanti, Fabrizio voleva così, allora uno grande, 300mm. I serbatoi? Aspetta, andiamo avanti ancora con quelli di alluminio, poi faremo quelli di plastica definitivi.

E così via. Gio’ e Ferro ricordano quando ancora la moto girava con due bisacce ai lati della sella, zeppe di strumenti, ridono…

Torniamo di nuovo indietro. Non avrei mai provato quella Moto a Pomposa, anche per un altro motivo, e ve lo ridico. L’avevo già provata in Tunisia, il test per Motocross. Allego il certificato. A parte il fatto che non sapevo guidare allora (fermi tutti, voglio dire ancora una volta che quella Moto la potevano e la possono guidare in pochi), figuriamoci oggi. E poi quel test ce l’ho stampato nella memoria. Non era la prima volta che provavamo una Moto della Dakar, ma quella fu speciale. Della Moto ho impresse sensazioni che non sono le solite. Non solo le solite, ci sono anche quelle straordinarie. Ho bene in mente che con la LC8 da Corsa si poteva andare ovunque, e anche farsi trasportare dalla sua esuberanza con una grande sicurezza. Stabilissima, velocissima e molto ben frenata, incredibilmente solida sull’avantreno, anche sulla sabbia, docile e potentissima. Veloce, senza farsi accorgere. Sul pistone che dal Café du Desert porta Douz, lo registrò l’ICO, avevo “preso” i 172 all’ora e non me ne ero accorto.

Era la Musica, il concerto dei V2. Sulla sabbia schizzava via, bastava un po’ di gas e, nonostante il davanti non propriamente leggero, la moto galleggiava con grande facilità, non importa quale marcia. Bisognava stare attenti a dove si mettevano le ruote, tuttavia. Avventurarsi senza cognizione in quei chiaro-scuro sulle dunette poteva voler dire veder sparire l’avantreno nella sabbia, e tirarlo su non era uno scherzo. Con la LC8 si poteva andare forte, fortissimi in ogni condizione del terreno, ma bisognava essere “collaborativi”, pensarci per tempo ed eventualmente darsi una calmata per evitare di essere sanzionati “pesantemente”. Ecco il test della mente, mi ricordo. Non era la Moto con la quale fare i furbi. E capii quale era l’incubo di tutti quelli che l’hanno voluta e poi sono tornati indietro. Il test in Tunisia era tutto lì, poche decine di chilometri di raggio, ma una Dakar è diversa diecimila volte. Ogni mattina dovevi sapere che potevi permetterti un numero limitato di cadute, di fatiche sovrumane per tirarla su e ripartire. A non essere Meoni. Un giorno ero caduto, una, due… a un certo punto mi sono arreso: “Gio’ ti spiacerebbe darmi una mano?” e Gio: “Hai capito, ora?"

Mentre ero lì, inebetito dalle emozioni di quella Moto, guardando Gioele che girava in maglietta nel freddo micidiale dell’Adriatico spazzato dalla Bora, mi veniva una domanda. E se Gioele avesse seguito le orme del padre? Se avesse deciso di fare anche lui la Dakar? Fabrizio iniziò tardi, dopo aver già lavorato una vita. Forse Gioele ha fatto passare altro tempo, tanto da considerarsi al riparo dal richiamo genetico. Glielo chiederemo un’altra volta. Oggi Gioele Meoni si diverte con la Moto del padre ma lavora appassionatamente alla sua Applicazione, Whip Live, un no so ancora che di Performance Tracking e GPS Mapping, uno strumento per guidare e di sicurezza, e molto altro ancora di cui parleremo, ovvero lasceremo parlare Gioele Meoni.

E Allora gli faremo anche quella domanda.

Foto, e passione, di Alessio Corradini

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