Suzuki: un milione di GSX-R. La sua storia

Suzuki: un milione di GSX-R. La sua storia
La 1000 limited edition celebra l’incredibile traguardo raggiunto dalla serie ipersportiva della casa di Hamamatsu. Ne approfittiamo per ripercorrerne la storia
5 ottobre 2012

Settembre 2012: viene venduta la milionesima Suzuki GSX-R. Una cifra che non molti possono vantare – anzi, diciamolo: quasi nessuno. Una cifra che vale la pena di festeggiare, offrendo ai clienti un’edizione limitata della top di gamma con una livrea speciale e qualche dettaglio di particolare cura. La “1 Million” non abbandona la tradizionale colorazione bianco/blu Suzuki, rivisitando però un po’ la linea aumentandone la grinta ed inserendo tocchi di rosso che ripropongono le tabelle portanumero dei primissimi anni di Superbike, del resto presenti anche sui vecchi, raffinatissimi, modelli GSX-RR prodotti in serie limitatissima per l'omologazione della fiche agonistica.

 

Sulla piastra forcella è presente il logo celebrativo del milione di esemplari prodotti, mentre la zona sospensioni propone un inedito contrasto rosso/oro. Le pinze monoblocco nere del freno anteriore hanno la scritta Brembo in rosso, colore richiamato dal profilo adesivo sui cerchi. Pochi dettagli, che però valorizzano ulteriormente una moto di indubbio fascino ed efficacia ancora adesso. Solo due anni fa, lo ricordiamo, Suzuki ha festeggiato il quarto di secolo della GSX-R750. In quella occasione avevamo dedicato alla sette-e-mezzo un bellissimo video in cui il nostro Nico Cereghini vi ha raccontato la storia della "Gixxer".

 

Era il 1985…


Sono passati quindi 27 anni da quando la prima GSX-R cambiò profondamente il mondo delle moto sportive. 
La prima GSX-R della storia, la 1985
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Allora la cilindrata da avere era 750: sotto le sportive vivevano ancora la crisi d’identità fra 500, 550 e 600 senza decidersi a fare sul serio, sopra c’erano le 900 e 1000 – transatlantici già molto veloci in rettilineo, ma quando si voleva andare a curvare c’era da gettare l’ancora. Ma anche fra le 750 le rivali scarseggiavano: qualcuna forse era più potente, ma nessuna più leggera. Nessuna, sicuramente, altrettanto corsaiola.

 

La GSX-R, con il suo telaio in alluminio e il doppio faro da endurance (che però in Italia arrivò solo nel 1987 per problemi di omologazione – prima ci siamo dovuti accontentare dell’inguardabile faro quadrato incastrato nella mascherina ellittica del “doppio”) non alzava le pulsazioni leggendo la scheda tecnica, ma quando si metteva mano al cronometro per le altre erano dolori. Anche se la stabilità era relativa, in tutte le gare riservate a derivate di serie fece una vera e propria strage, facendo nascere una generazione di piloti – Jeremy McWilliams e Kevin Schwantz sono solo due fra quelli che si sono fatti un nome sulla GSX-R 750. La 1100 del 1986 replica il successo e diventa un riferimento che nessuno riuscirà a toccare per anni.

 

Nel 1988 arriva il primo vero restyling. La nuova GSX-R 750 è bellissima; nel frattempo è uscita la Honda RC30 che ha cambiato diverse regole del gioco, ma la Suzuki su strada va meglio e costa la metà anche se i chili sono diventati 195. E per chi vuole andare a fare a pugni in pista c’è la GSX-RR, che costa quanto un mini in centro a Milano ma tira come una furia – i cavalli passano da 112 della versione di serie a quasi 130, la ciclistica si incattivisce e soprattutto sui due travi superiori si appoggia quel serbatoio Yoshimura “Tornado” che farà sbavare generazioni di fan.

 

La GSX750RR 1989: solo per la SBK! 
La GSX750RR 1989: solo per la SBK! 

 Nel 1990 la versione base eredita il propulsore a corsa lunga della RR (bisogna aver vissuto quell’epoca per capire cosa fossero allora le “homologation special” giapponesi) con tanto di carburatori a valvola piatta Mikuni “Slingshot”, pur con soli 2 cavalli in più.

Però arrivano la forcella a steli rovesciati, il mono a serbatoietto separato e la gomma posteriore da 170 – all’epoca una mostruosità. Nel 1991 arriva il nuovo cupolino con faro separato e purtroppo qualche altro chilo.

 

Le raffreddate a liquido

Nel 1992, a sorpresa, debutta sulla 750 il raffreddamento a liquido: il sistema SACS ad aria ed olio non tiene più il passo. La cavalleria cresce un altro poi; purtroppo sale anche il peso, e soprattutto arrivano le grafiche sbavate fluorescenti che terranno banco per qualche anno. La 1100 è ormai abbandonata, e mutua le modifiche della 750 con puntualità svizzera a distanza di un anno. Nel 1995 arriva un altro piccolo aggiornamento, anche stavolta rapinando pezzi alla versione in serie limitata necessaria ad omologare la SBK, che nel frattempo assume il nome di SPR. Purtroppo il peso ormai è al limite dei 220kg a secco, ma la rivoluzione è dietro l’angolo.

 

Fra le 750 le vere rivali scarseggiavano: qualcuna forse era più potente, ma nessuna più leggera. Nessuna, sicuramente, altrettanto corsaiola

La GSX-R750WT – o “SRAD” come la conoscono molti per sineddoche, visto che la sigla si limitava ad identificare il “ram air” Suzuki – cambia le carte in tavola. Il peso torna a 179kg, la potenza sale a 122 cavalli, roba da maxi dell’epoca. Ma soprattutto, le misure del telaio, per la prima volta a doppio trave, sono le stesse a quella della RGV 500 del 1993 con cui Kevin Schwantz vinse il mondiale.

Come la prima 750, è una moto impegnativa, agile e nervosa, che richiede un pilota per tirarne fuori il meglio. L’anno successivo debutta la 600, la prima GSX-R classe Supersport per il mercato europeo (negli USA, ad inizio 90, era stata proposta una 750 sottoalesata, troppo pesante e poco potente, di scarso successo) che sbanca il mercato. Nel 1998 arriva sulla 750 l’iniezione elettronica che ne addolcisce il motore; alla ciclistica ci pensa l’ammortizzatore di sterzo. Due anni dopo il peso scende ancora ad un quasi incredibile valore di 166kg, e il modello resta invariato fino al 2004.

 

Arriva la mille

Perché nel frattempo, nel 2001, nasce quella GSX-R1000 che taglia tutti i ponti con la vecchia 1100. Potentissima, velocissima, replica il successo della 750 nei campionati in cui corre e mette in riga le concorrenti sul mercato spostando non di poco i riferimenti di categoria. Nel 2003 viene aggiornata con la solita iniezione di cavalli e iniziano i tentativi volti a risolvere l’unico, vero, problema di cui soffrirà la GSX-R1000 negli anni: la relativa debolezza dei freni, che in pista mostrano presto la corda nel tentativo di tenere a bada la grinta del suo quattro cilindri.
La "K5" che regalò a Suzuki il primo Mondiale Superbike
La "K5" che regalò a Suzuki il primo Mondiale Superbike

Nel 2003 la Superbike “apre” alle 1000, e la Suzuki è la prima a recepire l’invito visto che le altre case giapponesi nel frattempo erano uscite sbattendo la porta, per poi rientrare dalla finestra due anni dopo. Curiosità, all’epoca erano proprio le plurifrazionate a dover subire l’imposizione degli air restrictor poi applicati alle bicilindriche quando il limite di cilindrata per queste ultime passò a 1200cc.

 

Nel 2004 nasce la 750 K4 – da inizio millennio gli identificativi del model year passano dalle lettere dell’alfabeto al noto K+anno – prendendosi il telaio della 600 ed adottandone anche il motore.

Di fatto da qui parte il nuovo ciclo Suzuki, che prevede 600 e 750 pressoché identiche a parte la cilindrata e qualche dettaglio ciclistico nonché l’aggiornamento dei modelli ad anni alterni alla 1000.

 

Il successo in Superbike


L’anno successivo nasce la GSX-R1000K5, completamente nuova, che riparametra ancora una volta la classe 1000 – ormai la più importante sul mercato, anche per l’identità sportiva con la SBK. Suzuki è rimasta l’unica a produrre la 750, che con il suo meraviglioso equilibrio (e gli aggiornamenti che anno dopo anno riceverà dalla 1000 dell’anno precedente) resta un’arma totale ma si ridimensiona nel successo commerciale, schiacciata fra Supersport e Superbike. La K5 è velocissima, e tanto avanzata da spopolare anche nel Mondiale Superbike, dove Troy Corser conquista il suo secondo titolo iridato regalando il primo alla Suzuki con il team Alstare di Francois Batta. Nel 2006 arrivano 600 e 750 dotate di soluzioni tecniche della maxi.

 

Da allora possiamo dire che le varie versioni delle GSX-R600, 750 e 1000 sono oggetto di evoluzione, ma di fatto non sono usciti modelli radicalmente nuovi. Nel 2007, unitamente all’adeguamento alle normative Euro-3, nasce la GSX-R1000K7 che propone il sistema S-DMS per variare in tempo reale la mappatura del motore. Da lì in poi, complice la crisi economica che ha colpito il mondo, i modelli nuovi vengono sviluppati con maggior lentezza. La cosa non ha impedito a Suzuki di continuare a rendere più efficaci e raffinati tutti e tre i modelli con evoluzioni di sostanza come l’adozione delle pinze Brembo che, finalmente, risolvono una volta per tutte i già citati problemi di frenata nell’uso estremo.

 

Non sappiamo quali siano i piani di Suzuki per il futuro della GSX-R, ma ci sentiamo abbastanza sicuri nel dire che la serie di supersportive di Hamamatsu non si fermerà al traguardo del milione. I trent’anni sono dietro l’angolo: entro il 2015 vogliamo pronosticare una GSX-R con dotazione elettronica da riferimento?
 

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