Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Fabriano, il giorno dopo. Alain Blanchard ha costruito il Mondiale di Enduro di oggi partendo da una sorta di preoccupante tabula rasa. Privato del suo gioiello di una dozzina di anni fa, l’embrione del supermotard, il promoter francese ha ingoiato il rospo e si è impegnato a rilanciare una specialità che comunque amava introducendo correttivi e novità alla formula di base, indovinata e valida. Oggi il livello tecnico è altissimo, quasi “preoccupante”, perché potrebbe diventare accessibile a una cerchia sempre più ristretta di piloti e team.
I Gran Premi sono ben organizzati, alcuni molto bene, altri benissimo, e l’Enduro, l’ex regolarità raccolta in una situazione che si poteva considerare almeno di stallo, è più che mai vivo. È sempre uno sport abbastanza introspettivo e individuale, ma adesso riesce a offrire uno show di contenuti e di spettacolo che, non sempre capito e comunque non facile da descrivere, offre prospettive di qualità impensabili solo dieci anni fa. Alain Blanchard e i suoi cento Gran Premi, festeggiati a Fabriano (in realtà erano 101 ma si voleva fissare nella terra italiana la pietra miliare), sono uno sguardo sul futuro della specialità del motorismo più antica. Come tutti i “pezzi” pregiati d’”epoca”, richiede un’attenzione particolare e molto lavoro di “manutenzione”, ma la fortuna è che il “pezzo” è assai appassionante, e dunque accudirlo costa impegno, ma la fatica non si sente.
Alain Blanchard: «Effettivamente è “quasi” così. La passione è enorme, in tutti noi che viviamo l’ambiente, ma è vero che il lavoro è sempre tanto e la fatica… anche. Comunque è vero che la passione fa sentire meno la fatica, e i risultati ripagano dell’impegno. La stagione 2016 è stata buona, la nuova classe Enduro GP è stata bene accolta e ha dato una nuova, anche se antica, dinamica sportiva all’Enduro, e il livello tecnico e di agonismo è sempre stato molto elevato. Le gare e il campionato sono sempre apertissimi, interessanti, appassionanti. Sta arrivando una nuova generazione di talenti, come per esempio l’ondata degli inglesi, e c’è un soffio d’aria fresca sull’Enduro. Meno polemiche, paddock sereno, belle gare. Una bella stagione».
Tutto bene, e allora per questo avete pensato bene di cambiare?
«Possiamo dire che ci abbiamo pensato molto, e le decisioni sono state prese dopo le necessarie consultazioni con i Costruttori che partecipano al Mondiale. Abbiamo messo molte cose sul tavolo della discussione, con l’obiettivo di dare ancora nuovo impulso all’Enduro. Un altro soffio d’aria fresca, questa era la richiesta. Nuova attrattività. Così siamo arrivati al nuovo calendario, con le due gare di nuovo formato, e alla nuova configurazione delle classi, anche questa una richiesta delle Case di ridurne il numero e per dare una più chiara visibilità a questo sport. Ecco le premesse che hanno portato alle novità e al punto che ormai conoscete».
Se uno vince due volte la nuova E2?
«Abbiamo pensato di farne una classe più propedeutica, promozionale come nel Motocross, e stiamo quindi decidendo di fare in modo che i piloti migliori non possano fermarsi e finire la carriera in questa nuova classe. Vogliamo che siano spinti a fare il salto di qualità salendo ai piani superiori della Enduro GP. È una proposta su cui stiamo lavorando».
Il Gran Premio di Finlandia e quello di Inghilterra. Come si possono sintetizzare per farli capire meglio?
«Il GP di Finlandia è la proposta di inserire una famosa gara invernale nell’Enduro. Si tratta di una non-stop in linea, ottocento chilometri nell’inverno finlandese. È una classica spettacolare e un’alternativa spot allo standard dell’Enduro. E così il GP d’Inghilterra, che si baserà sulla diversa configurazione delle due giornate. Un Enduro Sprint il sabato, solo speciali, e un Cross-Country la domenica, partenza dietro la griglia e confronto diretto e visibile. Il GP lo organizza Paul Edmondson, uno che certamente sa il fatto suo. Il senso è di dare una nuova chance a Paesi che sono importanti per l’Enduro e per il mercato, come appunto l’Inghilterra o la Germania, per esempio, che avrà il suo GP a Zschopau, un nome che fa drizzare le orecchie a tutti gli appassionati. Il Cross-Country, poi, potrebbe essere istruttivo se un giorno decidessimo di andare a fare un GP negli Stati Uniti. Pensa che bello, un GP con cinquecento partenti, e poi il barbecue, e poi la festa!».
Sei contento della tua dozzina d’anni di Enduro?
«Sono contento, nella misura in cui tutti sono contenti e lo dimostrano, ma potrebbe essere sempre meglio, molto meglio. Il problema più grosso che incontro è che evolviamo troppo lentamente, siamo lumache. Per affermare i Super Test ci sono voluti anni, per esempio. Ora ogni volta ci sono tre-cinquemila persone. Dico per esempio, ma dico la verità, non gonfio i numeri come fanno molti, troppi, che poi sono costretti a dire che hanno milioni di spettatori e diventano ridicoli. No, noi siamo onesti. Insomma, alla fine, dopo anni, sono tutti contenti. Contenti perché nel pubblico del Super test ci sono persone che spesso si avvicinano così all’Enduro, anche per la sola curiosità, ma poi rimangono. I Moto Club sono contenti. Lo Sport è buono, è una disciplina, come si dice, “sana”. Sono contento, perché la nostra Organizzazione è professionale ma allo stesso tempo famigliare, e l’ambiente conserva questo pregio; e son contento perché mio figlio Bastien lavora con me. Prenderà il mio posto, questo è sicuro, e così io potrò levare un po’ il gas!»
Difficile pensare che Alain Blanchard “levi il gas”!