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Kalambaka, 11 Maggio. C’è anche chi dice che il livello del Mondiale di Enduro è troppo alto, che arrivare in cima è difficile, quando non impossibile di fronte alla “barriera” insuperabile dei fuoriclasse, e restarvi ancor di più, e che a queste condizioni il gioco può essere troppo caro o non valere la candela.
La teoria non è esatta, anzi è proprio sbagliata. Questo è solo un modo di liquidare difficoltà oggettive di altro genere facendole ricadere sullo spessore tecnico del grande Enduro di oggi, un paradosso come spiegare lo scarso ricambio generazionale adducendo la scusa dell’impossibilità di raggiungere i grandi livelli tecnici espressi dall’Enduro del Campionato del Mondo di oggi.
La verità è che il Mondiale è diventato un Campionato stupendo, che nei dieci anni della gestione di Alain Blanchard è passato dalla polvere alle… stelle, che i Gran Premi lo sono altrettanto e che i Campioni che li dominano esprimono meglio forse di quanto abbiano fatto i grandi del passato lo spirito della vecchia regolarità. Al di là dell’evoluzione del professionismo nell’Enduro. Per arrivare sulla vetta ci voleva molto sacrificio allora, e oggi semplicemente ce ne vuole di più, e in pochi riuscivano a sottoporsi alle rinunce necessarie per arrivare, ma sono pochi anche oggi, forse ancora meno. L’antica regola, quella che formava dei Campioni molto longevi, capaci di essere imbattibili per lunghi lustri, è valida ancora oggi. Passato l’astro Salminen la sua eredità virtuale è stata raccolta da un pugno di Campioni superlativi, che con inalterato spirito di sacrificio sono decisi a rimanere dove sono arrivati grazie ad un impegno non comune. È giusto che vogliano rimanere lì dove sono, e che continuando ad alzare l’asticella delle loro prestazioni rinforzino pietra su pietra quella barriera che esiste oggi tra i pochi osannati e la frustrata, ma non meno appassionata, moltitudine.
Che c’entra tutto questo con il Gran Premio di Grecia? Centra quando si parla di Alex Salvini, indomabile Campione del Mondo della E2 in carica, che in un solo week end ha riassunto suo malgrado i sacrifici, le euforie e le frustrazioni degli uni e degli altri, lasciando sulla sua pelle i segni di una di quelle parabole sfortunate che inducono a dispiacersi immensamente.
Terzo il sabato alle spalle di Pierre-Alexandre Renet e di Antoine Meo, Salvini era tornato definitivamente ad occupare il ruolo che aveva conquistato alla fine della scorsa stagione. Dopo tre Gran Premi, dopo essere tornato sul campo di battaglia nella categoria dei mostri per difendere a denti stretti il suo Titolo, e dopo aver iniziato con una mano gonfia di dolore per un infortunio di fine inverno. Con un sacrificio più forte del dolore e con metà della preparazione buttata al vento, Salvini era riuscito a mantenere il contatto per i due Gran Premi iniziali, con le lacrime agli occhi in Spagna e con enorme fatica in Portogallo. Era quarto in classifica, a una ventina di punti dal Mostro dei Mostri, l’implacabile, arcigno, stupendo Antoine Meo, leader con tre successi su quattro giornate.
Forse proprio per questo Meo aveva iniziato la gara della domenica in modo inconsueto, cioè dandoci dentro a più non posso. È vero, doveva “vendicare” le troppe cadute e la sconfitta ad opera del “cugino” di Marca Renet, ma si può anche pensare che iniziasse a sentire sul collo il fiato del Gigante bolognese, e che non era più tempo di giocare al gatto con il topo. Se così è non aveva torto.
Sfiancati Renet e un grande Johnny Aubert, infatti, la partita era diventata a due, un duello. Meo contro Salvini. Alla terza speciale, la prima Extreme, Salvini torna alla vittoria, e si ripete ancora sul successivo strappo della PS per definizione dell’Enduro. Per tutto il giorno il distacco è lieve, sfumato e inconsistente, fino a quando, al decimo tratto cronometrato, l’ultima linea, Salvini mette la freccia e passa l’avversario. La fine di un incubo, il ritorno sulla vetta già conquistata al termine di una stagione esaltante. E a cui tornare a dare l’assalto.
Salvini cade e sbatte violentemente la spalla destra ed è costretto al ritiro. Il Gigante è contrariato, molto, conosce il dolore, quel sintomo che non è nulla di buono. Frattura alla clavicola
Penultima speciale, il cross test, e siamo da capo. Salvini cade e sbatte violentemente la spalla destra ed è costretto al ritiro. Il Gigante è contrariato, molto, conosce il dolore, quel sintomo che non è nulla di buono. È ancora lì che gironzola, che morde il freno, che si tiene il braccio quasi ad indicare un responsabile, quando arriva finalmente il verdetto della radiografia. Frattura della clavicola. Questa volta la stagione della conferma del Titolo potrebbe essere finita davvero. Adesso c’è un mese per il Gran Premio di Finlandia. Certi miracoli si possono fare, e la costrizione a stringere i denti o a sacrificarsi ancora più del lecito non mancano al patrimonio del fuoriclasse, ma adesso sì che il rischio potrebbe non valere la candela, soprattutto considerando certo che la davanti non lo aspetteranno di sicuro. È giusto che Salvini si conceda il tempo che gli occorre per riprendersi totalmente, con pazienza, e che ritorni non come una belva assetata di sangue nell’arena ma con il proposito di offrire agli appassionati raccolti al tempio dell’Enduro lo show della sua impareggiabile classe. In bocca al lupo Alex!
Adesso qualcun altro dirà che ci siamo persi per strada, che abbiamo esagerato, che in fondo è una clavicola fratturata, un danno da non fare drammi. È vero, tutto vero, ma se penso all’arco di tempo e di sacrifici, alla parabola del ritorno completo e a come l’orizzonte si è incupito di nuovo per Salvini, così, all’improvviso, ecco, mi dispiace.
E certamente il fato strano dell’Enduro dei grandi va avanti, un vero show il Gran Premio greco. Alla fine si ricorda di premiare, per esempio, un pilota che non è riuscito, a causa del caldo asfissiante, a mettere mousse e gomma sul cerchio della sua moto, e così l’ha infilata in parco Chiuso rimediando uno zero davvero non meritato. È un piccolo finlandese, magari non più giovanissimo, che si è ribellato e ce l’ha messa tutta contro un altro Mostro, Nambotin, doppio Campione del Mondo della E3 ora dominatore della E1. Eero Remes, sul gradino più alto del podio di domenica della E1.
Ancora avanti, con al E3 che sovverte un andamento sin qui a senso unico e a favore del quattro volte Mondiale Ivan Cervantes, premiando un giovane australiano di talento e un po’ scapestrato e originale come lo era un suo connazionale, il fuoriclasse Stefan Merriman. Cervantes accusa una gran botta alla caviglia, ma al contrario di Salvini non dovrà rinunciare alla prospettiva del trono per questo. Non c’è ricambio? “Basta” un po’ di talento, l’imperativo di mettercela tutta anche all’altro capo del Mondo, ed ecco un cuneo infilato tra gli anelli nodosi delle vecchie querce. Matthew Phillips, Campione del Mondo Junior 2013 e, per la prima volta, sul primo gradino del podio tra i Senatori.
Avanti, avanti con i podi eccellenti, per tornare finalmente a compiacersi, e non a trovare del buono tra il peggio per gratuito spirito nazionalista, di un altro momento di ricambio generazionale, e nazionale. Dopo la serie degli stranieri, che dura dall’ormai lontano 2008, mi pare, l’anno di Thomas Oldrati, ecco finalmente Giacomino Redondi due volte di seguito a capo chino all’inno di Mameli della E Junior, e Davide Soreca come lui nella Youth Cup. Parliamo di una doppia… doppietta azzurra, completata nel secondo caso dal rinforzo di Nicolas Pellegrinelli.
Ricapitolando il week end del Gran Premio di Kalambaka, E1 a Nambotin, KTM, e Remes, TM. E2 entrambi i giorni alla squadra di Farioli, con la doppietta di Meo, che vince due volte anche nella E3 con Cervantes e il “backup” Phillips. Visto che siamo a parlare della Marca, ricordiamo che in testa alle tre classi regine restano Nambotin, Meo e Cervantes. Infine, EJ e Youth Cup, è due volte Redondi, Beta, e Soreca, Yamaha.