Laia Sanz, la regina di Trial Enduro e Dakar

Laia Sanz, la regina di Trial Enduro e Dakar
Bella, brava e fortunata, solare. Ma soprattutto Campione del Mondo “n” volte. Laia Sanz è l’atleta catalana che ha scatenato l’immaginario degli appassionati con una serie epica di record e di imprese | P. Batini
7 marzo 2014

Quando il 14 gennaio Laia Sanz ha concluso la 9a tappa della Dakar Argentina-Bolivia-Cile siamo rimasti senza fiato. Non è rarissimo, nella storia della maratona per definizione, che una donna faccia parlare di sé, ma il più delle volte si tratta di circostanze almeno in parte fortuite, l’eccezione in un mondo di maschi che ne conferma le regole. Quel giorno, però, e quella circostanza, uscivano parecchio fuori dalle righe. La corsa della catalana era stata più convincente a ogni tappa che passava e la sua posizione di classifica, ogni giorno migliore, ne era la certificazione di autenticità. Un pugno di uomini, poco più, e poi, eccola, la donna, inseritasi quasi prepotentemente al settimo posto assoluto, a fare la voce grossa in un ambito di assolutezza che parlava da solo.


La storia motoristica di Laia inizia molto presto. Sul serbatoio della moto del padre a due anni, e due anni dopo “attivamente” sulla moto del fratello Joan presa e provata di nascosto. Una piccolissima Montesa, une delle regine storiche del Trial. A sette anni la prima gara, questa volta spinta dalla madre e approfittando del fatto che si correva nel suo paese, Corbera de Llobregat, 25 chilometri dal centro di Barcellona. Ultima, ma non importa, il “messaggio” dell’imprinting familiare era arrivato e aveva già iniziato a produrre una traccia chiara. Il dado era tratto, la moto era il futuro di Eulàlia Sanz Pla-Giribert, alias Laia Sanz.

 

Laia Sanz, 13 volte iridata
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In quegli anni il confronto era decisamente impari. Solo uomini tra gli avversari, nessuna gara, campionato o categoria pensata esclusivamente per le ragazze. C’è da rimboccarsi le maniche e accettare la sfida, compito a cui Laia non si sottrae, anzi. Ha inizio, così, la sua incredibile carriera sportiva, prima tra i cadetti, poi tra gli Junior, sempre in compagnia dei “maschi”, che inizia per altro a battere. Nel 1998, dopo aver vinto un non ancora ufficiale Campionato Europeo, decide che la moto e il Trial saranno la sua vita. Il 2000 sarà l’anno della consacrazione, con la vittoria nel Campionato spagnolo Cadetti, il primo Titolo mondiale femminile (Campionato appena istituito) e il secondo posto nell’Europeo. Da lì in poi c’è un parziale e anomalo “buco nero” solo nel 2007, ma ben 13 Titoli Mondiali, 10 Europei e 6 Nazioni in un palmares con pochi rivali, non solo nel motociclismo. Nel 2010 Laia affianca alla sua attività trialistica l’avventura dell’Enduro, e l’anno successivo realizza il sogno di partecipare alla sua prima Dakar. La musica non cambia, nel 2012 e 2013 arrivano i Titoli di Campione del Mondo Enduro Femminile, e le quattro Dakar sin qui disputate corrispondono ad altrettante vittorie nella categoria femminile. Di nuovo le carte si rimescolano. Nel 2011 la Laia Sanz che debuttava alla Dakar in compagnia di Jordi Arcarons era l’appassionata che realizzava un antico sogno, poi i risultati hanno iniziato ad acquisire un valore sempre più importante, fino a quel sedicesimo posto assoluto conquistato a Valparaiso quest’anno.

Questa è Laia Sanz, Campionessa straordinaria e donna affascinante, ventotto anni, occhi profondi e un sorriso radioso che descrive meglio di qualsiasi altra cosa la grande bellezza della sua storia.



L'intervista


Ti aspettavi di dedicare la tua vita alla moto, di diventare una motociclista e una Campionessa?
«No, certo che non me l’aspettavo. Quando ho iniziato ad andare in moto per me era poco più di un gioco, era solo una passione. Non avrei mai immaginato di diventare una motociclista, una Pilota professionista, di vincere dei Titoli e di arrivare a questo punto. Ma, del resto, non ho neanche avuto troppo tempo per pensarci».


Naturalmente sei contentissima, hai ottenuto più record che vittorie, ma avresti voluto fare qualcos’altro, o anche qualcosa di diverso?
«Certo, sono molto contenta, felice perché ho una passione molto forte, faccio una cosa che mi piace ed ho potuto fare di quella cosa anche la mia professione. Credo che quello che mi è capitato sia il massimo che si può chiedere dalla vita. C’è una cosa, peraltro, che ho sacrificato, e a cui talvolta penso: è lo studio. Volevo riuscire a fare l’università, ma quando ho iniziato con i corsi è stato anche il periodo che ho cominciato a viaggiare tanto per le gare, ad essere via per molto tempo continuativamente. Così alla fine ho dovuto scegliere. Non direi che è un rimpianto, questo no. Mi sarebbe piaciuto, ecco, ma non ce l’ho fatta».


Trial, Enduro o Dakar. C’è una tra queste discipline quella che ti piace di più?
«Bella domanda. È un po’ come chiedere se ami di più tuo papà o tua mamma. Una domanda difficile. Il Trial mi ha dato tutto, compresa la possibilità di fare le altre cose. Adesso sono arrivata ad un punto nel quale la motivazione per la Dakar e per l’Enduro sono molto forti, ma rimango comunque molto attaccata al Trial. L’ho fatto per vent’anni quasi tutti i giorni ed è stata la specialità che mi ha consentito di fare anche l’Enduro e, quindi, la Dakar. Certo, adesso la Dakar mi piace tantissimo».


E, dunque, il programma per il 2014 è già definito?
«Per la verità no, non ancora precisamente. Continuerò con il Trial e vorrei fare un po’ più di Enduro. Certo i calendari non sono molto favorevoli come lo sono stati negli ultimi due anni, nei quali ho “corso” molto tra un evento e l’altro ma ho potuto partecipare ad entrambe le specialità. Quest’anno ci sono molti eventi concomitanti che mi obbligheranno a scegliere. Vorrei comunque stare concentrata un po’ di più sull’Enduro, e preparare bene la prossima Dakar».


La Dakar, appunto, un impegno molto duro anche sotto il profilo della preparazione. Lavorare sulla Dakar è sempre molto difficile, vero?
«Sì. Lo è. Ci sono molte cose da preparare e da prevedere, ed è un lavoro che mi tiene occupata praticamente tutto l’anno. D’altra parte è anche un lavoro che ti può ripagare con delle soddisfazioni molto grandi. Fai una bella gara, ottieni un buon risultato, e sei ripagato con gli interessi di tutto il lavoro fatto e dell’impegno profuso».

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