OiLibya Rally Marocco. Laia Sanz

OiLibya Rally Marocco. Laia Sanz
16 volte Campionessa del Mondo, tra Trial e Enduro, un grande amore per i Rally-Raid. Laia Sanz traduce i risultati di una carriera strabiliante nel privilegio di essere stata chiamata a far parte del Team HRC ufficiale Honda | P. Batini
3 ottobre 2014

Punti chiave

Erfoud, 2 Ottobre. Chi non conosce Laia Sanz Pla-Giribert, in arte Laia Sanz, è perché vive in un altro Mondo, troppo lontano perché valga la pena di organizzare una missione interplanetaria per tentare di recuperarlo. Laia Sanz è bella, solare, allegra e conturbante, la scia che si forma alle sue spalle lo conferma. E poi, tra i “dettagli” in seconda battuta, è la leggenda al femminile del Trial, ben 13 volte Campionessa del Mondo, la regina dell’Enduro, tre Titoli iridati, e la forza dell’immaginazione della Dakar, quattro volte migliore Pilota al femminile nelle cinque edizioni disputate dal 2010. Una donna, e una campionessa, speciale, che si misura adesso con il sogno assoluto di far parte di un team ufficiale in corsa alla prossima Dakar. Per la Sanz, l’OiLibya Rally del Marocco è il teatro della prima apparizione con la Squadra ufficiale Honda, e l’occasione indispensabile per rifinire la preparazione tecnica con il test della versione 2015 della Honda CRF450 Rally che dovrà guidare dal 4 al 17 Gennaio prossimi. Pronti anche noi.

Laia. Lasciamo perdere per un momento l’incredibile storia passata, e diciamo che la cosa più importante che succede oggi è che una Ragazza diventa ufficiale di un Main Team. È giusto?
«Sì, è un fatto molto importante, perché è come un sogno. Ho fatto quattro anni fa la mia prima Dakar e adesso sono qua, all’OiLibya Rally del Marocco con la Squadra ufficiale Honda, e poi alla Dakar. È chiaro che per me aver avuto la fiducia di un team importante come HRC è un fatto straordinario, un onore».

La tua fama ti aiuta, certo, ma non crediamo che sia questo il caso. La tua performance alla Dakar è stata di livello assoluto, e quindi pensiamo che sia una pagina di merito, ancora una volta.
«Non penso che Honda mi abbia preso perché sono una ragazza che appare nei media, ma perché ho fatto dei buoni risultati. Altrimenti non credo che sarei qua, adesso».

Quale è dunque il tuo compito in questa configurazione, diciamo atipica e inedita, del Team HRC?
«Qui in Marocco siamo venuti per difendere il Titolo di Paulo Gonçalves, e per fare una bella figura e un buon allenamento. Alla Dakar so che dovrò almeno ripetere il risultato ottenuto l’anno scorso, e sono a disposizione se dovesse servire una mano nelle strategie del Team. Adesso ho una Moto eccellente, e anche la mia preparazione specifica è stata migliore, per cui penso di fare ancora meglio».

Negli ultimi anni vicende alterne, anche un po’ misteriose. Come mai?
«Non penso di essere stata mai “misteriosa”. Sono stata otto anni con Honda nel trial, poi le cose non sono andate troppo bene con Gas Gas, e ho deciso di interrompere a metà anno il rapporto. Ho dovuto gareggiare con una KTM prestata da un amico, poi ho comprato una Honda. Sapevo che mi sarei complicata la vita, ma talvolta è meglio fare un passo indietro per poterne fare poi due in avanti. Ho rischiato tanto, ma alla fine il buon lavoro ha dato i risultati che speravo, pardon che sognavo».

La “trattativa” con Honda per i Rally-Raid è una cosa improvvisa o ci lavoravi da tempo?
«È stata una cosa quasi improvvisa, nata forse anche un po’ per fortuna. L’anno scorso ho fatto gli X-Games in Germania con una vecchia Honda del 2008. È stato allora che Johnny Campbell, che mi aveva conosciuta alla Dakar, mi ha chiesto se volevo fare gli X-Games americani, a Los Angeles, con una sua moto. Gli ho detto di sì, e sono andata due settimane prima per allenarmi. Mi ha dato la possibilità di conoscere il Team, e penso che anche loro sono stati contenti, così mi hanno detto che c’era la possibilità di avere una Moto per andare alla Dakar di quest’anno. Così è iniziata l’avventura. Credo, in un certo senso, di avere avuto la fortuna di trovarmi al posto giusto nel momento giusto».

D’altro canto lavori sul progetto Dakar da un po’ di tempo, e crediamo che anche la decisione di abbandonare il Trial sia legata alla nuova avventura. Non è così?
«Sì, mi piaceva l’idea di concentrarmi sulla Dakar. L’anno scorso, con Trial e Enduro, e poi Dakar, è stato un anno davvero difficile, e con la Gas Gas avevo un supporto limitato. E anche la moto è arrivata solo un mese prima. C’è da dire che ho anche avuto l’infortunio al gomito, che ha richiesto quasi sei mesi per essere riassorbito. Insomma, ho visto che avrei dovuto puntare su qualcosa di più preciso, e il risultato ottenuto alla Dakar mi ha dato la spinta decisiva».

La Dakar è una gara molto speciale, durissima per le donne ma soprattutto… per tutti

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Ma la Dakar, è uno sport per Donne?
«Perché no? Se è uno Sport per uomini può e deve esserlo anche per le donne. Penso che sia dura per una donna, così come lo è anche per gli uomini. La Dakar è una gara molto speciale, durissima per le donne ma soprattutto… per tutti».

E che differenza hai percepito esserci tra i tre tipi di sport che hai praticato?
«La risposta è difficile, perché condizionata da molti fattori. Con il trial sono nata, l’ho sempre fatto, ed è forse ancora la disciplina che amo di più e che mi ha dato l’opportunità di arrivare sino a qua. E poi ho corso per tanti anni, e naturalmente ho tantissimi ricordi stupendi. Mi manca il trial, certo, il trial è lo Sport che ti vuole per più tempo in moto, è molto esigente, ma ti da la possibilità di migliorare se accetti le condizioni, e quindi mi ha dato la voglia di lavorare per conquistare totalmente la componente tecnica. L’enduro mi ha aiutato a conoscere la velocità, che nel trial è assente, e mi ha avvicinato ai Rally-Raid. il Rally è bello, è un’avventura, e ti porta in posti magnifici, e la moto che si utilizza è molto bella».

Come sono, dal punto di vista “ambientale”, i tre pianeti Trial, Enduro e Rally?
«Il Trial è un “pianeta” piccolino, e ci conosciamo tutti molto bene, è un mondo semplice, innocente e buono. Il Rally è un po’ diverso, ma mi piace molto l’ambiente del bivacco, la relazione che c’è tra i Piloti. Un giorno mangi con Peterhansel, un altro con il Pilota che è arrivato ultimo, ed è sempre un’esperienza di vita. L’Enduro sta un po’ in mezzo. È più simile al trial».

© Immagini ApPhotosport

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