WESS. L’altro Mondiale (che non è mondiale)

WESS. L’altro Mondiale (che non è mondiale)
Piero Batini
  • di Piero Batini
Per la verità non ci volevo credere. Non era la prima volta che circolavano voci di “dissidenza”, di “scissione”, ma quelle volte le chiacchiere erano tutte rientrate. Poi è arrivata questa…
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
12 dicembre 2017

Dicembre 2017, il 2018 dell’Enduro ancora tutto da scoprire. Chiamato in causa. Eccomi. Al volo… con qualche scusa per l’inerzia. Nasce il WESS, dunque, World Enduro Super Series, ma non… muore l’EnduroGP, il Mondiale “istituzionale” della specialità. La nuova serie attinge a piene mani da una vecchia idea di “mondializzare” l’insieme della gare dell’Estremo contestualizzandole in un contenitore ufficiale, ma adesso ha un taglio diverso, e più ampio respiro. Allora l’idea fu di qualche organizzatore di Eventi e, soprattutto, di un bravo e appassionato filmmaker americano, Jeff Pakosta, che portò avanti per un po’ il suo progetto, andato poi in frantumi contro la miopia delle istituzioni federali e degli stessi organizzatori, spesso troppo inclini a concentrarsi sul proprio orto per vedere quello che di buono nasce al di fuori del loro metro di terra. Dall’altra parte c’era già stata una minaccia al Mondiale di Blanchard, anche abbastanza strutturata, accesa nelle Valli ma che era rimasta tale, ovvero una minaccia, che non aveva trattenuto neanche il privilegio di diventare un suggerimento al Promoter, che del resto non se ne curò troppo, forse in quel caso commettendo un errore.

Nel frattempo è cresciuta una certa insofferenza per il Mondiale basata sul calo di attenzione da parte di Partecipanti, Piloti, Team e Case, e degli stessi appassionati, non in assoluto ma che non hanno mai risposto all’appello del grande evento enduristico nella misura che oggi gratifica organizzatori, sponsor, promoter e federazioni: il pienone. Per la verità ci sarebbe stato da stupirsi se fosse successo il contrario, a conoscere bene l’Enduro. Sta di fatto che Blanchard è diventato bersaglio di un costante lancio di garbate critiche, e poi il capro espiatorio di una situazione che si avviava a diventare insostenibile.

La nascita della EnduroGP, ridefinizione poi rimaneggiata e, infine, ritornata sui suoi passi della “vecchia” formula, appena adolescente, era stato uno dei frutti della ricerca di un cambiamento, che tuttavia non è riuscito a soddisfare le parti, ovvero né il promoter né gli interlocutori che avevano chiamato a gran voce quel cambiamento. Quasi in un perfetto dialogo tra sordi, insomma imperfetto, l’Enduro “ufficiale” esplorava nuove frontiere, il Rally Finlandese del Ghiaccio, il GNCC inglese o il Mito tedesco dell’Enduro, ma andava in crisi criticato anche e soprattutto da chi aveva suggerito quei cambiamenti. E intanto, nell’ombra, la “cospirazione” partoriva l’alternativa, World Enduro Super Series, questa volta basando il proprio progetto su una decisa polarizzazione in senso Estremo della tipologia della maggioranza delle Gare, chiamando a raccolta Erzberg, Romaniacs, Megawatt, Treffle Lozerien, Xlarge Lagares ed altre.

Il Mondiale non si smuove, non fa chiasso e non risponde, non c’è dialogo, e promuove una stagione 2018 all’insegna delle precedenti, forse ottimizzando la storia. Otto prove, Finlandia e Gran Bretagna confermate con i rispettivi “format”, l’aggiunta di un secondo Gran Premio italiano, oltre a Edolo il “Muro” di Arco di Trento.

"The Wall", la gara di Arco di  Trento
"The Wall", la gara di Arco di Trento
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La differenza, per ora e sulla carta, la fanno gli schieramenti, senza il definirsi dei quali chissà se oggi saremmo in possesso di informazioni attendibili e complete. La differenza la fa il Gruppo di KTM, che stacca ufficialmente le formazioni ufficiali KTM e Husqvarna dal Mondiale per abbracciare la nuova causa del WESS. Insomma, il Mondo Piccolo dell’Enduro si spacca in due, si divide invece di fare quadrato. Questa è di per sé una stranezza, un atto incoerente con la storia dell’Enduro (ma forse non con i “caratterini” degli enduristi). Tutti gli altri restano dall’altra parte, fedeli alla storia che, nel frattempo si è strutturata come agli albori dell’era Blanchard, riesumando in fretta le tre classi regine e aggiungendo la vecchia, pluripremiata, pluricriticata e pluriacclamata Assoluta.

L’altra stranezza è che il Mondiale continuerà ad assegnare i suoi Titoli “ufficiali” F.I.M., sette o otto ancora non è certo, mentre il WESS si dovrà “accontentare”, per ora, di eleggere un extra-ufficiale ”Ultimate Enduro Champion”. Senza contare il SuperEnduro, che è l’altra branca, ufficialmente specializzata nel lato indoor dell’Enduro, che fa capo ancora all’”ufficialità” ma che sembra essere il primo boccone ideale, gustoso aperitivo d’assaggio, del WESS. Naturalmente, il fronte delle incomprensioni e delle incoerenze non è così stretto, e a questo punto tocca dire la nostra, perché per far valere sul campo il peso delle proprie strategie, il WESS ci farà aspettare ancora 150 giorni, e solo un paio di mesi meno il Mondiale.

Dunque io la penso così. Il WESS si è incaricato di rilanciare l’Enduro partendo da una base solida e collaudata di singoli eventi che fanno il pieno di partecipanti e spettatori, attirati rispettivamente da una medaglia prestigiosa e dallo spettacolo. La supervisione del WESS può dare alla serie una patina omogenea di nuova, eccitante gloria, esaltandone l’immagine e restituendo il malloppo all’Enduro, che piange proprio una certa, cronica mancanza di “notorietà”. Quando entrano in scena i nomi di Red Bull, di KTM e di certi “single” istituzionali, la spinta è enorme, e il risultato convergerà senza alcun dubbio verso un’immagine televisiva di grande attrattiva ed effetto.

Il Mondiale di Blanchard continua per la sua strada, ritorna alla formula del 2004, aggiunge l’Assoluta e una Gara “strana” alle due confermate dello scorso anno, e “inventa” la Televisione dell’Enduro, o Enduro TV, già lanciata in occasione della prima del Mondiale SuperEnduro di Cracovia.

Taddy Blazusiak impegnato nel GP SuperEnduro in Polonia
Taddy Blazusiak impegnato nel GP SuperEnduro in Polonia

E qui nasce il primo inghippo. Televisione. Red Bull la darà a tutti, Blanchard on demand. Credo che sia uno sbaglio. Ci sono Mondiali che sono costruiti e vivono attorno all’immagine televisiva, che diventa il “veicolo” della notorietà, utile per tutti, organizzatori, attori e sponsor, e Sport costosissimi e di levatura ultraplanetaria che puntano dritti alla massima diffusione dell’immagine televisiva, sempre di altissima qualità, per autopromuoversi e entrare in tutte le case del Mondo. Fare pagare la televisione, soprattutto se non si è così grandi e noti, è un modo per chiudersi ancor più in sé stessi. Io non sono per fare un Enduro ad immagine della televisione, ma sostengo da sempre che l’Enduro meriterebbe un’immagine televisiva di qualità, fatta da grandi registi e operatori, ovvero per uno spettacolo di contenuti e di valore che riesca a raccontare una passione centenaria. Piazzare due telecamere qua e là mandare ore di diretta è la morte civile dell’Enduro, mentre un “highlights” ben fatto è altra cosa.

Altro inghippo. L’Enduro è storicamente sport introspettivo, di sacrificio e mentale. Appartiene soprattutto a chi lo pratica e a tutti quelli, non molti certo, che lo conoscono, lo capiscono e lo amano. Forse non è facile pensare di gonfiarlo ai livelli dello spettacolare “crowd” di certi, bellissimi eventi dell’Estremo, ma non è difficile pensare di trovare il modo di curarne un po’ di più la valenza e di esaltarne le qualità intrinseche e riconosciute.

Tecnicamente, l’Enduro ha raggiunto livelli incredibili. I Piloti fanno ormai cose che noi umani… ed è forse anche per questo che, paradossalmente, il Mondiale va in crisi. Troppo bravi quei pochi, troppo distanti, inutile andare a cercare grane. Al contrario, il WESS si propone di “democratizzare” la partecipazione, incitando anche gli amatori a partecipare accanto ai miti, alle leggende dell’Estremo, ai propri idoli. Può funzionare, ma è anche vero che per realizzare questo proposito non c’era bisogno di nessun WESS, così come è vero che, proprio sotto questo aspetto, di Dakar ce n’è una sola.

Ma a parte gli inghippi, quello che mi tormenta sono i “buchi” che la “scissione” lascia scoperti. Avremo da una parte un Mondiale senza alcuni dei protagonisti storici, dunque “menomato”, e dall’altra una serie di eventi mondiali senza valore Mondiale, dunque in qualche modo “monchi”. KTM e Husqvarna, che hanno rivisto profondamente la struttura delle proprie Squadre, lotteranno per un “Ultimate Enduro Champion” ma non avranno, questo è sicuro, alcun Ufficiale Campione del Mondo nella Hall of Fame del Mondiale dell’anno prossimo. Un buco importante, che si chiuderà solo se e quando il WESS diventerà a sua volta Mondiale oppure se e quando KTM ci ripenserà e tornerà alle Gare di Blanchard. Comunque vadano le cose al momento Blanchard è alla sbarra, e questo è ingiusto perché dovremmo comunque ricordare che l’ex autore del Supermotard è colui che ha raccolto i pezzi alla deriva dell’Enduro nel 2004, un cinico regalo della Federazione, allora, e ha salvato capra a cavoli rilanciando uno Sport che molti consideravano ormai morto e sepolto. Eppure non è improbabile che il WESS miri a sottrarre all’attuale Promoter la massima validità planetaria, anche e solo per dare al suo circuito di Gare un senso coerente con l’attuale “filosofia” dello Sport, strettamente legata alle attività delle federazioni che per definizione devono promuoverlo. In questo caso, tuttavia, bisognerebbe pensare che qualcuno stia già facendo il doppio gioco.

Certo, se queste sono le condizioni, la guerra “fredda” che si è consumata quest’anno virerà inevitabilmente a qualcosa di più “cruento”.

Perché la vicenda non diventi una “guerra civile” bisogna, a questo punto, che gli attori protagonisti della vicenda scendano al compromesso di ritrovarsi e riparlarne, magari tra qualche tempo e dopo aver “visto” l’effetto delle proprie mani al tavolo del poker di oggi. Che, magari, si decida di tornare un passo indietro tutti insieme e, capito che è bravo dove e a fare cosa, di dividersi i compiti ciascuno facendo quello che sa fare meglio, in questo modo facendo davvero del bene dell’Enduro, oggi dilaniato da troppe fratture.

Magari, invece, c’è un lato oscuro di questa vicenda che ci sfugge.

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