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Questa è una storia di amicizia, di Moto e di sabbia. È il diario di un Viaggio in Libia del 1996. In questi giorni di isolamento capita di rimettere a posto del materiale sparso qua e là per la casa e per il garage. Per prime sono riemerse alcune foto del viaggio, poi le pagine ingiallite, come si dice, del Diario. Credo che quel Viaggio meritasse di essere raccontato e ora condiviso con chi ha la mia stessa passione per la Moto e per l’Africa.
Ecco, dunque, quello che accadde in quell’agosto torrido del ‘96.
Siamo quattro amici che hanno la stessa passione per la Moto, facciamo tutti, chi più e chi meno, il Campionato Toscano di Enduro, e ogni tanto qualche gara internazionale. Quello che ci dà una grande soddisfazione non è tanto la gara, e tanto meno il risultato, quanto lo stare assieme, condividere la stessa passione. Fare il campo la sera, andare a vedere e “camminare” le speciali, prenderci in giro sulle rispettive “performance” passate e, ancora di più, su quelle che ci si aspetta l’uno dagli altri per il futuro.
Siamo nel 1996. Non ricordo la data e la circostanza ma a qualcuno viene in mente di organizzare il Viaggio che vi sto raccontando. Penso che quel “qualcuno” fossi io, e cioè che l’idea sia venuta in testa a me perché nel 1991 avevo fatto la Dakar ed ero rimasto folgorato dalla Libia.
Gli altri tre, invece di tirare indietro, ci mettono il “carico da 11”. Nessuna esitazione o perplessità: “Si va, si deve andare!"
Accidenti a me, mi dico, e ora? Adesso ‘sto Viaggio devo organizzarlo subito e, soprattutto, bene, altrimenti mi gioco i galloni di “Comandante”, quel titolo informale che ho acquisito sul campo non senza “difficoltà e sacrifici”.
Comincio dal piano di fattibilità. Primo, individuare ed esaminare i pro e i contro:
I pro sono:
Siamo tutti in forma e discretamente capaci nella guida.
Siamo tutti amanti dell’avventura e possiamo sopportare qualsiasi genere di avversità senza andare in crisi. Insomma siamo gente che non perde la testa nei momenti difficili.
Abbiamo tutti una Moto adatta al viaggio.
Ho le mappe del Nord Africa, comprese quelle russe.
Il percorso Gadames-Ghat l’ho già fatto durante la Dakar 1991, e di quella tappa conservo ancora il road book.
Ho uno dei primi GPS in commercio (Magellan acquistato nel 1994 negli USA (sia ben chiaro, siamo ancora all’alba dei tempi di quel progresso tecnologico che oggi troviamo in tutti i telefonini))
Ho riportato i waypoint sulle carte (a mano, non avevo ancora scoperto OziExplorer) e ho le mappe IGN francesi, all’epoca un “must”.
I contro:
La Libia è sotto embargo
Tutti abbiamo le ferie in agosto e possiamo andarci solo in quel mese
La tratta Gadames-El Auneat è di circa 600 km senza “nulla”, ovvero soprattutto senza acqua e senza benzina.
Non abbiamo un telefono satellitare (allora, oltre a essere costosissimo, era troppo ingombrante)
Forse ad agosto fa un po’ caldo…
Naturalmente, portati in assemblea, i “pro” vincono a mani basse, e i pochi “contro” seppure davvero terribili, sono bocciati all’unanimità.
Ci si organizza con i visti, si preparano le Moto, si cerca di capire come risolvere il problema dell’autonomia (non parlo solo di benzina, ma anche del cibo, del trasporto dell’acqua). Decidiamo di partire in Moto, direttamente da casa e con un bagaglio minimo, essenziale. Si decide anche che si pernotterà sempre nel Deserto, salvo in Tunisia dove troveremo da dormire strada facendo, e che non prenoteremo nulla a parte i traghetti. Ci proponiamo di stabilire solo un percorso di massima. Il resto lo decideremo strada facendo in base alle circostanze. Ecco il percorso di base:
Lucca-Genova
Genova-Tunisi
Tunisi-Ras Ajdir
Ras Ajdir – Zuara
Zuara-Nalut-Dirj-Gadames
Gadames-El Auneat
El Auneat-Aubari-Laghi Gabron, Um-Elma, Mandara,
Sebha-verso Ras Ajdir
Ras Ajdir-Tunisi e rientro in Italia
Sul GPS ho 5 punti: Gadames, El Auneat, i laghi Gabron, Mandara, Um Elma. Il resto del percorso è improntato deliberatamente… “alla spera in Dio” (naturalmente sappiamo perfettamente che dovremo misurarci intelligentemente con le circostanze, cercando di sottovalutare… niente).
3 Agosto (Agosto!) 1996. Ore 14:00. Partiamo da Genova sulla mitica, scassatissima “nave” Habib, sbarco a Tunisi, solita ressa caotica, ma funzionale, alla dogana e via, immediatamente verso il Sud.
Alla frontiera con la Libia, a Ras Ajdir, 4 cowboy solitari e non “raccomandati”, siamo condannati. Infatti, mentre i viaggatori accompagnati dalle agenzie passano relativamente veloci, noi ci mettiamo ben 8 ore per espletare le formalità, prendere le targhe, timbrare, firmare. Il tempo passa, non siamo neanche partiti e già ci lamentiamo per il caldo.
5 Agosto. Ci fermiamo in un hotel. Hotel si fa per dire, perché non è qui il caso di raccontare dello stato del bagno, intasato da anni, e di altre amenità indecenti. Del resto è una sosta breve e strategica, l’indomani all’alba siamo già in strada per Zuara. È qui che si abbandona la costa e si punta a Sud lungo la statale. Ed ecco l’avvertimento numero due. Non appena lasciamo la costa e viene meno la benefica influenza del mare, la sensazione di entrare in un forno è chiara, netta, potente. Tra l’altro, non è poi solo una sensazione. D’un tratto è chiarissimo perché i nomadi del deserto viaggiano completamente coperti, imbacuccati.
Ci fermiamo e ci mettiamo addosso tutti gli indumenti possibili, foulard compreso, in modo da non lasciare scoperto un solo centimetro di pelle. Già sappiamo che entro sera saremmo da padiglione ustionati, non tanto per il sole quanto per la temperatura dell’aria, e che per noi sarebbero solo giorni di dolorosa espiazione all’inferno.
Con questo caldo è quasi impossibile viaggiare (e pensare che siamo ancora veloci e sfaticati sull’asfalto). Mi immagino cosa possa voler dire “sdunare” con quelle temperature. Ricordo che un pensiero del tipo “Bene, ho capito l’antifona, andiamo a visitare Leptis Magna …” mi è passato per la testa. Ma no, proseguiamo. Ci mancherebbe altro.
Ci fermiamo a mangiare, qualcosa, e bere, tutto quello che troviamo, a Nalut e ripartiamo subito.
In prossimità di Sinawin troviamo un piccolo palmeto vicino ad un villaggio e sfiniti dal caldo ci infiliamo all’ombra. L’acqua, nelle borracce, nelle bottiglie, nei camel-back, ha raggiunto la temperatura esterna, superiore ai 50 gradi, e non è bevibile. Decidiamo di riposare un po’ e ci mettiamo a dormicchiare.
Tra le palme sbuca un signore anziano, chiaramente un autoctono con la sua tunica candida, dall’aspetto signorile, con una brocca di acqua fresca. Sai, quelle goccioline sull’esterno del vaso che trasudano indicibile, inimmaginabile freschezza? In perfetto Italiano l’anziano ci chiede se vogliamo bere. Non credo che la visione della Madonna avrebbe fatto lo stesso effetto.
Con il signore facciamo una lunga conversazione. Scopriamo che nel 1937 aveva fatto il militare in Italia con le truppe cammellate (sfilava lungo i fori imperiali), e che dopo la guerra per molti anni era stato interprete al servizio delle imprese italiane che costruivano le strade. Adesso la Libia era chiusa e lui si rammaricava che non ci fossero rimasti che pochi italiani nel Paese. Facciamo qualche foto. L’anno dopo gli avremmo portato una di quelle incorniciata e non ci sarebbe stato verso di ripartire. L’anziano, di cui non ricordo il nome, voleva assolutamente che rimanessimo con lui e la sua famiglia almeno per qualche giorno…
Ci invitò a casa sua… chissà se è ancora vivo? Penso di no perché era già… anziano.
6 Agosto. Ripartiamo. All’incrocio di Dirj troviamo un altro gruppo di motociclisti milanesi, ormai è sera e facciamo l’ultimo tratto tutti assieme verso Gadames.
A un certo punto la Moto di Riccardo inizia ad andare male, batteria fulminata. Riusciamo, non senza difficoltà, ad arrivare a Gadames a notte fonda e sulla “circonvallazione” della città troviamo un hotel nuovo, nel senso che è stato costruito da poco. Ricordo con tanto di pelle d’oca: l’albergo aveva un cancello spettacolare che si apriva direttamente sul Deserto.
7 Agosto. La giornata di Gadames vola, senza riposo e non senza una certa apprensione. Cerchiamo la batteria, ma figuratevi quante probabilità abbiamo di trovare una batteria dell’Africa Twin. O anche solo una batteria da moto. Ve lo dico subito: in quell’agosto del ’96 nessuna.
Ripieghiamo allora su una batteria da auto, la più piccola disponibile, che ovviamente non può stare nell’alloggiamento originale. No problem, la montiamo sul portapacchi fissandola saldamente con le fascette. Rimane il problema dei cavi, di lunghezza e, soprattutto, diametro sufficienti. No problem indeed, quelli li troviamo scavando nella montagna di rifiuti della costruzione dell’hotel e abbiamo risolto. Per finire diamo un bell’aspetto e coibentiamo il nuovo alloggiamento coprendo tutto… con una scatola di cartone. Riccardo collauda il nuovo sistema uscendo cerimoniosamente dal cancello sul Deserto. Perfetto”
Capiamo che, con quel caldo, al minimo problema ci lasceremmo le penne. Decidiamo, dunque, di ridurre al minimo il rischio di imprevisti e cerchiamo una guida che ci accompagni. È la piccola parte turistica della giornata, giriamo per la Città vecchia e, guidati dalle indicazioni raccolte qua e là, troviamo Slima. Ci accordiamo in fretta. Slima ci accompagnerà con la sua immancabile Toyota, un po’ “antica” ma perfettamente tenuta, almeno per lo standard africano della manutenzione.
Decidiamo anche di fare un unico gruppo con i fighetti milanesi (tutti con una BMW), facciamo la spesa, altri frammenti di turismo, e siamo pronti alla partenza. Il gruppo si è affiatato per merito, in particolare, di Pinuccia, che da vera “manager ambrosiana” ha preso in mano la situazione, ha fatto da “mediatrice” tra i gruppi e ha suggerito gli acquisti giusti al mercato locale.
Slima ci consiglia di acquistare un grande telo per fare ombra. Dio solo sa se ne avremo bisogno, mai consiglio fu più utile.
Andiamo a fare benzina, ma il distributore non funziona… Troppo caldo, la pompa dell’impianto fa vapor-lock. Riccardo non si scompone e ci mette mano. Fuori gli attrezzi della Moto, spurga, mette le pezze bagnate nei punti giusti e finalmente riusciamo a fare il pieno alle Moto.
8 Agosto. Si parte la mattina prestissimo.
La Toyota di Slima ha, appesa su un fianco, una ghirba di capra “nuova”, nel senso che il contenitore dell’acqua ha ancora qualche segno di sangue qua e là. Ci guardiamo. Nessuno parla ma è come se dicesse: “Mai e poi mai berremo dal culo di quella capra!”
Fatte poche ore di strada, verso le 10:00, ci dobbiamo fermare: impossibile proseguire con quel caldo. Si apre il grande telo e ci mettiamo tutti sotto al riparo. Si riparte solo verso sera e si viaggia anche oltre il tramonto.
9 Agosto. La mattina dopo ripartiamo che è ancora buio, e la routine della salvezza sarà più o meno sempre la stessa: fermi dalle 10:00 alle 17:00 circa, poi si prosegue. Patiamo il caldo in una maniera indescrivibile. Sebbene all’ombra, le chiavi della Moto non le puoi tenere in mano.
L’acqua da bere delle bottiglie è a 50 gradi, e per l’effetto tampone ci vorrebbero ore di fresco per abbassarne la temperatura. L’unica acqua fresca è quella della ghirba… Tutti abbiamo bevuto dal culo della capra.
Lungo la pista, i paesaggi cambiano in continuazione, dune, pista dura, pietre, sabbia. Uno spettacolo. Lo spettacolo amplificato dal piacere di andare in Moto. Si arriva su una pianura fra due falaise appena pronunciate, in un punto dove c’è una sorgente in superficie e dove è stato costruito un pozzo in cemento per raccogliere l’acqua. Il pozzo è pieno di acqua anche se in superficie è ricoperto di alghe. Le spostiamo e, potrebbero esserci i coccodrilli, ci tuffiamo. Un bagno… indimenticabile, non verremmo più via.
Invece ripartiamo per tempo e arriviamo a El Auneat praticamente cotti. Siamo esausti e tuttavia molto soddisfatti anche di questa parte del viaggio. Decidiamo però di non andare all’Acacus che è li a due passi. La sabbia scivola dall’altra parte della clessidra e… fa troppo caldo. La visita alle incisioni sarà per l’anno prossimo. C’è una specie di ostello e cogliamo l’occasione per fare manutenzione alle Moto. Smontiamo tutto, anche i carburatori pieni di sabbia.
10 Agosto. La tappa successiva ci porta a un villaggio, Sidi Ali, lungo la statale all’altezza dei laghi Mandara/Gabron. Con le Moto scariche andiamo prima verso il lago Gabron. La sabbia è “farina”, si affonda facilmente e qualche piantata è di norma. I nostri compagni di viaggio, quelli incontrati prima di Gadames, decidono di venire con noi… però comodamente sulla jeep. Non se la sentono di venire con le BMW con le quali hanno già fatto così tanta fatica per arrivare a El Auneat. Scendiamo sulle rive del Gabron dalla mitica duna, altissima, che sovrasta il lago. Potete immaginare cosa voglia dire “surfare” le onde di un mare di sabbia ocra e trovarsi all’improvviso al cospetto di uno smeraldo incastonato tra le dune. Mangiamo sotto il gazebo di un locale che cucina qualcosa e poi proseguiamo per il lago Umm Al Maa e poi fino al Mandara. La dose di emozioni raddoppia, triplica. Il lago Gabron è molto salino e si galleggia (quasi) come sul Mar Morto. Al lago Umm Al Maa ci rigeneriamo con i datteri meravigliosi offerti dalle palme che lo circondano.
11 Agosto. La parte del viaggio più avventurosa finisce qui… risaliamo su rotte inverse, il nostro tempo sta per scadere e torna improvvisa l’urgenza dell’appuntamento con l’Habib. Ogni giorno, alla fine, abbiamo fatto un sacco di chilometri, ma il “tappone” che ci riporta a Nalut, poi a Al Ajdir, è un’impresa un po’ folle. Attraversiamo di nuovo il confine e, via asfalto, raggiungiamo Tunisi. Poi Genova e… Lucca. Casa.
Ancora, dopo tanti anni, è rimasta la memoria di uno dei viaggi più veri e intensi che ho fatto.
Un pensiero grande va a Luca e Stefano che non sono più fisicamente fra noi, ma che sicuramente vivranno per sempre nei nostri pensieri. Li ricordo sorridenti, quella serenità che solo il viaggio ben riuscito fra amici, in Moto e in Africa, può dare.
Altri viaggi verranno ancora…
Paolo
L’autore e “cronista” di questo e altri bellissimi Viaggi è Paolo Paladini. Un “vecchio”, ammirevole amico, caparbio e deciso, preciso come un chirurgo. La persona affidabile per definizione. Lucchese, 68 anni, 2 Dakar, 1991 e 2002, quella della seconda vittoria di Fabrizio sulla bicilindrica KTM, durissima ma finita. Poi, ancora. Rally del Nevada 1994 (non ricorda il piazzamento), Rally di Tunisia del 1992 (11°assoluto), Rally dei Faraoni del 1998 (13° assoluto con l’Africa Twin). Altri Rally (Carpat, Quenca), tanti campionati toscani. Soprattutto tanti Viaggi in Africa con gli Amici! Grazie mille.
I partecipanti:
Luca Tomei, Suzuki Big
Stefano Varanini, Honda Dominator
Riccardo Sanesti, Africa Twin RD04
Paolo Paladini, Africa Twin RD03